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Che oggi vi sia grande contaminazione di linguaggi lo si può verificare
leggendo la stampa o ascoltando la radio (sul teleschermo si è andati oltre e
ormai siamo al subliminale).
L'abuso del lessico parlato nella lingua
scritta e della forma dialettale nella lingua parlata obbediscono ad un
abbassamento della proposta volta ad incontrare un maggior consenso a
prescindere dal contenuto del testo. La trasformazione della poesia in testo
teatrale, operata da attori incaricati delle letture, vertono ad ovviare alla
carenza di pubblico della poesia, di contro la produzione di testi "poetici"
atti alla proposizione teatrale, operata da "poeti" che cercano sbocchi nel
teatro, cercano forse di coprire la carenza di autori teatrali. Il tutto nella
diffusa convinzione che la poesia sia cosa fra le più facili per la quale siano
sufficienti un'esperienza di vita tormentata e tante buone intenzioni. E' grazie
a questo fraintendimento che il verso libero ha ucciso la prosa poetica e viene
detto prosa poetica ciò che somiglia alla poesia ma non va a capo prima della
fine del foglio. Non si vuole proibire ad un idraulico di fare il lattoniere, ad
un muratore di fare il piastrellista, ad un poeta di fare il cantautore, ma deve
essere chiaro che, pur facendolo, chi è idraulico (se veramente lo è) rimane
idraulico, un cantautore non diviene automaticamente poeta così come un poeta
(se veramente lo è) resta poeta anche se un comico in disarmo lo chiama
cantautore. La sensazione che si respira sopratutto davanti ai teleschermi, cioè
che una faccia conosciuta per questa stessa ragione possa fare tutto non può
tradursi automaticamente nella convinzione che tutti possano fare tutto e
qualsiasi cosa farla bene.
Questo mi è stato richiamato alla mente
dalla lettura del libro di Tiziana Colusso, una scrittura certamente di alto
livello ma altrettanto alta contaminazione.
Vi si trova un linguaggio che potrebbe
essere poetico ma che fatica a ricondursi ad una scansione metrica anche
soltanto accennata, mentre si appoggia al ritmo puro della dizione, come per
favorirne l'uso teatrale; un testo di forte impatto emotivo, capace di suscitare
visioni nell'ascoltatore ma privo di quella musicalità, melodiosa o
singhiozzante che sia, che sappia condurre il fruitore dalla realtà dell'oggetto
della scrittura all'evocazione del soggetto della composizione. Di contro si può
trovare l'enunciazione di concetti chiari con estrema proprietà di linguaggio,
un linguaggio asciutto, proprio del monologo informativo, che invece pare
cercare un metro, quasi una musicalità che non penso possa né debba servirgli,
composto com'è per calcare sulle pause, sull'incisività della voce, sulle
sottolineature e sulle scorrevolezza di una lettura veloce.
Tutto questo mi è parso di vedere ma
insieme a questo, senza alcuna separazione, si possono trovare versi che
risentono di una tradizione poetica tutt'altro che trascurabile, e
sperimentalismi che forse nessuno avrebbe avuto il coraggio di fare senza
l'esperienza dei futuristi. Molto presente, l'inserzione di lingue straniere,
mai gratuita, non appare invasiva né autoreferenziale. Una nota di merito va
fatta all'ironia, lieve (mai sarcasmo) ma puntuale (mai generica), a volte
pungente (non la stoccata di un fioretto ma il fastidio della punta di un chiodo
che sporge appena di qua della suola).
Dal mio punto di vista credo che il meglio della poesia di questa
raccolta lo si possa apprezzare nell'ultima sezione, dal
titolo "Alfabeti naturali": possibile
si tratti di un caso?
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Recensione |
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