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Non vi è, in questi versi, la vicenda quotidiana, per quanto nobile, di "Rosmunda, Elmichi...", né il diario dell'esploratore di "Viaggio a Terranova..."; vi è qualcosa di militare, pur senza essere la cronaca del generale, che mi ha ricordato il "De Bello Gallico" (non mi sarei stupito di incontrare un "ut"); la tragedia della sconfitta addomesticata dagli occhi del vincitore.

Quasi in ogni verso è si trova qualcosa che sembra alludere a fatti di recente memoria, spesso ambivalente, tuttavia risulta impossibile ricostruire un mosaico preciso, riconducibile ad una visione nitida (e anche se si potesse? L'Odissea è davvero la storia di Ulisse?). Non si deve neppure tacere che la realtà in cui viviamo è più ricca di varietà di una discarica, quindi non solo è facile incorrere inin riferimenti ma è difficile evitarli, e questo li rende meno significanti.

Anche le indicazioni geografiche, il mare a destra è la più ricorrente, sono solo apparentemente più precise; il luogo in cui viviamo è così ricco di mari e di emittenti che non serve un cameramen ben pagato per farci apparire le cose sempre da un lato, come del resto basta un aspirante volonteroso per porre i colori scuti da un lato e quelli chiari dall'altro, e questo rende ogni indicazione meno indicativa. Dunque non è di questo, credo, che si sostenta il lavoro di Rossano Onano.

Invece, l'immagine complessiva più immediatamente percepibile e meno evanescente è quella del mostro che si riproduce divorandosi, cosa che non è né indicativa né orientativa di per sé, e si presenta inconfutabilmente anche al lettore più superficiale. Da qui il ritorno al preciso punto di partenza, o comunque l'inutilità di ogni impresa compiuta, per faticosa e pericolosa sia stata (questa seconda ipotesi appare più chiaramente nella sezione 4).

Le considerazioni, che i vari personaggi compiono durante le loro peripezie, hanno invece un preoccupante, a volte sconvolgente rapporto con alcune possibili visioni: "... «Essa conduce d'oltremare -deduce | sottile la guida sciamana- la folla di quanti | sono dati superflui a causa della attitudini | ordinative».", e sopratutto "... «Uomini, considerate | la vostra semenza e quindi disperdetela, infatti | non siete nati a questa disperata donazione", che sovverte i termini del dogma portando la provocazione al livello di "un baratto concitato e gaio, a noi le collane | d'osso, ad essi le donne ilari, ...", anche se con un tono più raffinato, credo. Da notare anche l'acquiescenza con la quale, al termine del viaggio, avviene il passaggio delle consegne; quasi come fosse cosa scontata data l'esperienza vissuta.

Nella sezione 4 invece, l'esito pare scontato fin dall'inizio, forse a causa di quella serie di "(e)" che stende sopra ogni cosa le segue, indipendentemente da ciò che contiene, un'atmosfera di "deja vu", tanto che il gesto finale del Capitano risulta privato in parte della sua carica drammatica, evitando allo stasso tempo ogni compromissione melodrammatica con un retrogusto ironico.

Il libro si conclude con la breve quanto sconcertante sezione 5, ma ciò che "rimane nella pianure sterminate" e le "danze mimetiche di nutrimento" indirizzano (preoccupantemente) lo sconcerto.

Recensione
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