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Più che nella misura del verso, in
fondo non eccessivamente rigida, è nell'evitare ogni occasione di far coincidere
la pausa versale con quella sintattica che l'autore coglie sufficientemente
l'obiettivo che si pone nell'introduzione. Al di là degli enjambements
usati in modo canonico la sfasatura tra cadenza della scrittura e divisione in
versi crea sospensioni, stacchi, ictus non facilmente collocabili da parte del
lettore che voglia essere attento ed ossequioso della pausa versale, e quindi
dei codici del linguaggio "poesia" come altro dal linguaggio "articolazione". Di
qui il disagio, la precarietà, l'incertezza di un andare corrisponde in larga
misura alla pena di vivere ed alla profonda solitudine che l'autore dice di
voler trasmettere al lettore.
Altro pregio di questa raccolta è di
scomporre un concetto statico e scontato (alberoniano si potrebbe dire) come:
"invecchiare è fisiologico", e di restituirlo con una formula che ne sposta il
punto di osservazione: (si invecchia dimenticando)*(dimenticare è un istinto).
Alla luce di questa trovata vi è un buon uso dei fattori
paesaggistico-ambientali come significanti del racconto che si vuole evocare
attraverso un confronto con la memoria ed una domanda di futuro. Questo futuro
viene spesso visualizzato nel tramonto; ciò appare giusto nella considerazione
che il poeta consuma la propria esistenza andando incontro alla fine; ancor più
giusto oggi, incontro alla fine del secolo, alla fine del millennio; ma la
visione di questo tramonto-futuro appare tuttavia limitata. Parlare della
giovane età dell'autore non sarebbe serio, piuttosto vale considerare sulla
immensità melanconica del tramonto, che l'autore sembra intuire: E'
preferibile ascoltare il | giorno raccogliendo il tramonto | nelle mani e così
lasciarsi | affogare dentro un desiderio , ed ancor più sull'eternità che
esso rappresenta in un immaginabile inseguimento della luce: solo fermandosi si
viene raggiunti dal crepuscolo, e invecchiare è fisiologico. Ed è giusto sia
così: il poeta muore, non la poesia. Forse conviene fermarsi ed affrontare di
petto l'idea della fine solo nella piena coscienza della parzialità del poeta e
nella acquisita convinzione che più in là ci sarà sempre una Cingoli ,
dove non è ancora notte. Vale forse indugiare senza fretta negli scorci di via
Marcelletta, per setacciare ciò che non deve cadere nell'oblio, per costruire
una memoria architettonicamente adatta a sfidare il tempo: ...le quattro
mattonelle | addosso al tappeto, ... e lo spigolo | del mobile... Un'immensa
terrazza ...tutte le | movenze del cielo... L'azzurro oltre le nuvole... .
Nella raccolta sono diverse le
soluzioni efficaci e pregevoli, per tutte: Aspetterò una città che | respira,
che lascia il | vapore di un suo alito, | dall'esterno, su tutti | i vetri delle
vecchie case ., in alcuni casi affascinanti, una: Nella fessura che è tra
un | minuto ultimo ed | il primo... . Buone le immagini di Daniele Duca,
che cercano il pathos senza autoreferenziarsi con la ripresa flouata o con la
lacrima terzomondista ma che s'impongono come significante nella loro
interezza senza ipotecare i
possibili significati: photos come raramente capita ormai di vedere.Pulito il
progetto grafico di Attilio Bianchi.
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Recensione |
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