| |
La storia è avvincente; non è certo di quei libri che si lasciano leggere
anche pensando ad altro né di quelli che si leggono per non pensare ad altro.
Esige attenzione ed una mente sempre presente ed attiva, pena il perdersi. La
trama incalza il lettore fino a non lasciargli intravedere una soluzione
possibile e successivamente fino a spingerlo ad ipotizzarne di inverosimili.
Nel corso della lettura mi è parso di intravedere diverse anime, spesso
con elementi di contrapposizione. L'ambientazione, specie gli interni, sembra
rimandare al primi del '900, scarsi accenni ci dicono invece trattarsi della
seconda metà del secolo scorso. Anche la scrittura, che ha connotati letterari e
non cede mai al lessico parlato, neppure nei dialoghi in modo eccessivo, pare
non appartenere alla nostra epoca. La passione la sofferenza e la disperazione,
il peso della fortuna e della sfortuna fanno pensare al feuilletton di
rango, penso a Balzac, ma sono assenti i forti coinvolgimenti sociali e le
aspirazioni pubbliche che fanno della scrittura di quell'autore uno spaccato
della società dei suoi tempi. Qui invece le vicende personali non escono mai da
una stretta cerchia di rapporti per lo più parentali: il solo esempio di un
certo peso è quello dell'incontro casuale con Willy, molto bello e tanto
contestualizzato che insieme all'uso dell'autostrada costituisce l'elemento di
più certa datazione della storia. Qualche cenno di modernità allontana dal
romanzo d'appendice le pur intricate vicende parentali famigliari e d'amore e le
avvicina alla sua evoluzione che attraverso il fotoromanzo giunge alla
telenovela, ma i personaggi fra cui tali vicende vorticano sono troppo pochi e
quasi tutti ristretti al nucleo di una famiglia anche se allargata. Più marcate
evidenze moderne si possono registrare nell'uso di sprazzi di memoria nel corso
della storia, insieme a momenti che paiono tingersi di giallo fino a certe
situazioni che richiamano il genere "pulp" ma si tratta di momenti isolati, come
quelli in cui del lessico parlato viene usata la parte triviale, normalmente in
uso alla televisione spazzatura, momenti che coincidono con fatti
particolarmente sconvolgenti o conflittuali per un protagonista. Questa
impressione di modernità viene palesemente contraddetta dalla scelta di condurre
il romanzo attraverso la testimonianza di una giornalista, metodo molto usato in
tempi passati.
Pur non giungendo al gotico la vicenda ha toni cupi, unico momento di
leggerezza, a mio parere, è nel viaggio a Roma, pur se sovrastato da rimorsi e
sensi di colpa. Anche il finale, pur tingendosi di rosa, non riesce a dissolvere
le nubi precedentemente addensate.
Nonostante le contrapposizioni registrate la scrittura tiene il suo
livello per tutta al stesura, solo qualche piccolo neo, quasi impercettibile, la
cui estirpazione secondo me non avrebbe compromesso l'insieme: marlboro
(con lettera minuscola), Ray-ban (con lettera maiuscola) e il testo di
una nota canzone, tutti eccessivamente citati. Il richiamo a Willy il coyote,
invece mi sembra più integrato nel fatto in cui si inserisce.
| |
 |
Recensione |
|