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Emilio Paolo Taormina, che conosco dalla metà degli anni ‘990 grazie alla periodicità delle sue plaquettes, che faceva invidia a tante riviste di poesia, edizioni agili ma dignitose, spesso frutto di collaborazioni, che egli pubblicava sotto la sigla de L’arciere del dissenso, Emilio Paolo Taormina, dicevo, ha compiuto un processo lungo e costante attraverso una poesia senza soluzione di continuità, che svela un rapporto con l'altro privo di ogni quotidianità eppure così reali.

Coglie nel segno Massimo Barbaro, quando parla di “lettura che richiede l’impegno di entrare nella misura e nella durata, nelle pieghe delle immagini.”, oggi che l’autore giunge a questo “Sposalizio del tempo”, titolo assai felice non più di una plaquette bensì di un libro rilegato in cartoncino e cucito a refe, dove pur mostrando gli anni trascorsi è ancora facilmente riconoscibile in certe serie di sensazioni che durano un istante ma lasciano al lettore la voglia di ricercarle a lungo nel ripostiglio della memoria.

La vista ha lasciato più spazio all’udito, all’olfatto, e la parola si è fatta più varia e più incisiva. Molte composizioni affrontano una misura più lunga del consueto senza mai appesantirsi, nonostante l’assenza di segni d’interpunzione e di maiuscole, grazie alla difforme spaziatura, che crea pause, alleggerimenti e concentrazioni del testo nella lettura. Nei corpi più brevi, che già al primo impatto non si presentano come sentenze o motti, e neppure come aforismi, basta poco perché appaiano come parte di un insieme vasto, più vasto dell'economia della sezione e del libro stesso, qualcosa di trasversale alle componenti di cui esso è la somma.

Dice bene Sergio Lagrotteria nel breve e pertinente risolto di copertina, parlando di ”… femminile, presenza ricorrente che assume di volta in volta sembianze puramente naturali, metamorfiche o enigmatiche.”, ma io direi di più, vi è il femminile che trascende a sé stesso ponendosi come un ente che si transustanzia in tutto ciò a cui il sentimento può volgersi. Mi rendo conto di quanto sia difficile ed imprecisa la parafrasi di tali concetti ma individuo un modo particolare di rivolgersi all’altro da sé da parte dell’autore nutrendo aspettative. Forse varrà di più un esempio: “mise | una goccia | di sangue | sulla radice | dell’alberello | perché un giorno | gli potesse parlare | come un figlio.” (non per parlargli come a un figlio) P. 17.

Emilio Paolo Taormina, sia che usi il tempo passato presente o futuro, sembra galleggiare in un’eternità al di fuori della temporalità sancita dall’uomo, sembra rapportarsi con distanze inconcepibili alla mente umana come fossero lì, a portata di mano; chissà, forse la curvatura dello spazio o forse il vago poetico.

dentro la parola | ho rovistato | le radici | di una lingua perduta | mi chiedo | se quando i sassi | di questa spiaggia | saranno sabbia | qualcuno | da un mio verso | non rovisti la mia |      anima” (P. 74).

Recensione
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