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Fin dalle prime pagine i versi in
corsivo mi hanno cullato in modo sospetto, che mi è sembrato quasi affettato,
altri invece, in genere quelli sulle pagine pari, quelle scomode all'occhio del
lettore (forse per caso), mi hanno sconcertato. Fortunatamente, noi che
conosciamo sulla pelle la legge del sifone o collo d'oca, leggiamo sempre poesia
tenendo sottomano i vocabolari (enciclopedico, dell'uso e fuori uso ed
etimologico), teniamo sotto mano anche il pallottoliere, per contare le sillabe
dei versi ma soprattutto cerchiamo, noi che sappiamo la legge dei vasi
comunicanti, riferimenti e collegamenti nelle rime. Si intravede il sonetto in
forma classica sotto il linguaggio di tipo moderno, con circospezione. Per
esmpio: lo sfagno che richiama lo stagno collegato alle torbe, le "rivalte", con
echi nelle toponomastiche popolari, "battute" che rimano con "muschiate", le
"péste" che, in quanto contadine, si autoreferenziano col "raccolto", che
insieme al "risvolto", con cui rima, e col "cartiglio che empiva" e che ritorna
al "raccolto", rima col "mondo in deriva". E poi il "ripiano", che rima con
"luogo insano", posto di stantii stazionamenti, ieri la ciotola dove galleggiava
il burro nell'acqua fresca, oggi la sentenza in attesa del ripensamento
dell'autorità. Per non entrare nell'universo suggerito dalla rima frasi/lise… .
Ma è stato il termine "latrine" a causarmi la battuta d'arresto che mi ha
consentito (sfido il copirait) di accorgermi di come l'autore ha scelto di
accedere al finale con tre endecasillabi, fra tutti gli altri del sonetto,
atipici quanto significanti: sacrifica e comprime la seconda parte del verso
XII, e costringe ad un'acrobazia fonetica quella "o" lasciandola in bilico sulla
fine verso, per lasciare a "latrina il capoverso successivo e dargli agio, e
spianare così la strada all'ultimo verso che, pure se di misura esatta, sembra
troncato prima della sua fine naturale, e lascia intuire ancora tanto spazio da
giustificare il finale coi puntini del "non finisce qui" (p. 8).
Tutto il libro
può essere letto abbandonandosi ad una lettura più che libera, sciolta, non ho
detto semplice o facile, una lettura conscia di non dover rendere conto a
nessuno, se non al piacere di sé stessa, e soprattutto che non soffre della
fatica fatta dall'autore, che non ha certo fatto gran che per evitare di farla
anzi: sonetti, sestine, sonetti caudati, sestine doppie, e pure un sonetto
acrostico, il quale, con le iniziali di ogni verso va a formare il probabile
titolo, "accenti amorosi". Indubbiamente
un passatempo di qualità superiore.
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Recensione |
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