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Se fossi stato incaricato di scegliere una immagine per la copertina del libro di Scarselli sarei ricorso subito a Jean Louis Théodore Géricault (1791-1824) con la sua Natura morta di braccia e gambe, presente almeno fino a metà novecento nel museo di Montpellier. Quelle membra sradicate da un corpo umano che tanto bene starebbero sul banco di una beccheria per cannibali, lo stesso si addicono come insegna emblematica dell'entrata nel fosco e temuto Palazzo del Grande Tritacarne. E questo luogo infatti l'ultima e inevitabile stazione dove gli umani sono irrimediabilmente condotti da una nera automobile d'ordinanza a riscattarsi dal peccato mediante la morte della carne con dolore, poiché il peccato e il dolore fanno parte del plasma vivente, antichissima organica imperfezione di quel globulo di vita temerario che volle farsi anima e carne fabbricandola con fragili molecole contro tutte le leggi di natura e poi si diede a inseguire perdutamente l'ordine e la bellezza di Dio per essere a sua immagine e somiglianza, quel Dio che per i suoi fini imperscrutabili aveva imbenignamente impastato una goccia di luce con un ego di carne mortale.

Telecontrollato da un'altissima potente e paterna Autorità, o Padrone, nell' incognito Palazzo luogo mezzo sacro e mezzo infame funziona il Tritacarne, complessa macchina sublime ideata dalla sapiente Natura per spremere il succo purissimo dell'anima dalle poltiglie delle carni degli organi smantellati dai corpi trattate per purificarne i liquidi di spremitura, la cui sostanza volatile nonostante l'alchemica distillazione subita dovrà essere ulteriormente purificata per mezzo di finissimi catalizzatori dai vaghi sentori di intriganti secrezioni corporali che la fanno ancora incapace di sollevarsi alla nuova dignità dello spirito. La sublime trasmutazione dell'ignobile carne corrotta in nobile sostanza dello spirito si compirà il più vicino all'occhio di Dio. Allora, dalla vetta più lucente della Macchina, la primigenia goccia di luce ormai liberata anche dal più piccolo residuo di memoria di sé, folgorato dal sublime ciclotrone, emigrerà puro spirito dalla vetta del Palazzo con un piccolo sospiro come un gas più leggero dell'aria nel Regno della Luce.

Queste brevi "carote" operate sul testo, che suppliscono a una lunga trattazione qui non rituale, paiono sufficienti perché i lettori avvertano subito, al di là del titolo che poteva anche sembrare giocoso, l'universalità e la tragicità del tema scelto e affrontato da Scarselli con forte capacità speculare, sorretta da sapere scientifico, costruendo un poema dove con fervida e ardita inventiva e nel segno della ineludibile sensibilità post moderna viene a solidificarsi senza contraddizioni ma in nuova effigie tutto un magma culturale e artistico pregresso. Quanto l'autore ci offre, oltre che lettura avvincente e inusuale, è un'occasione di riflessione oggi rara, glissata da un presente briaco di poemi borsistici, racconti metereologici, sonetti pubblicitari, saltimbanchi d'ogni estrazione e pifferate cortigiane, tanto per gradire. Fra tanti monopoli allora benvenuta la grande ugualitaria metafora di Scarselli a riscattarci lo spirito dalle turistiche muscolature michelangiolesche quanto dalle impurità delle sentenze del tribunale dantesco.

Recensione
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