| |
Preghiera a Manitou di Cane
Pazzo
La raccolta di sillogi,
presentata da Rossano Onano, con il titolo “Preghiera a Manitou di Cane Pazzo ed
altre implorazioni” attrae, sin dall'inizio, per l'impressione immediata, di
ribaltamento della comune consuetudine: imprecazioni paradossali o paradossali
implorazioni. L'autore, oggettivamente esperto dei più recessi meandri della
mente umana, nella sua qualità di psichiatra, si abbandona, nell'enfasi
creativa, a quella che, a prima vista, appare un'antiliturgia, quasi rito
dissacratorio.
L'impressione deriva dall'estrema acutezza di fantasie sublimate
attraverso l'afflato lirico, al diapason della sensibilità, accanto a momenti a
questi antitetici, in cui il tono si placa in risvolti che lasciano individuare
il puro “divertissement”. Trasfigurazioni di esperienze personali, frammenti di
ricordi e di conoscenze, nelle quali l'autore proietta la propria coscienza
umana e artistica, agitando il mondo onirico e la sfera fantastica di Onano. La
tensione della preghiera a Manitou tocca esperienze ed esigenze fondamentali
all'uomo: “Dammi il volo radente dell'aquila veloce, quando assalta la lepre
corrente paurosa e la tocca con l'ultima penna dell'ala, poi torna al pascolo di
Manitou trimurtico”. Si profilano, qui, contemporaneamente, il desiderio di
ascesi e del ritorno alla protettiva presenza del dio, espressi accanto a due
confessioni di dolorosissima esperienza umana: “Due son le cose che fanno male:
il volo del falco che uccide... e la giovinezza”. Parimenti, un senso di estrema
sofferenza affiora nell'accenno alla “lontananza perduta priva di grano”.
Altre
volte, accanto ad immagini delicatissime, quali “il raggio di luna (che)
raggiunge / le labbra socchiuse della bambina addormentata” si profilano
situazioni abnormi. Ancora alla luna il poeta si rivolge domandando “dove sono
le stelle orientative?” di fronte all'impudico accostamento della bionda
principessa alla bruna figlia del corsaro: anche i “gabbiani vagano
contrariamente alla meta terrestre”. Brutture, violenze, deviazioni, trasferite
in formule immaginifiche, protraggono affabulazioni, lasciando, peraltro, spazio
a problematiche perenni. Si veda, ad esempio, la sofferta conquista dello
spazio: “Sappiamo di naviganti che sono ritornati. Hanno toccato mari e crateri
spenti,...la Terra, dalla lontananza, premeva sul cuore”. Parimenti, e più
sofferta, si profila la ricerca di un inespresso Oggetto (Dio?).
Così l'autore
si esprime nella tensione attrattiva e nell'estenuazione da cui scaturisce, antiteticamente, il rifiuto: “Noi ti cercavamo e tu contrapponi a ogni tesi /
l'antitesi, noi refrattari a tutte le sintesi // conciliative, / noi adoratori
di fiammelle, fatue...abbiamo perso la speranza / di non cercarti e la speranza
di cercarti ancora”. Ancora dell'uomo d'oggi una sfumatura ironica stigmatizza
la contraddittoria natura: “Possediamo un senso romanico della misura / e lunghe
nicchie d'ombra ed una barocca paura”. Nel percorso di ricerca tra reminiscenze
storiche o leggendarie del passato, la elaborata rappresentazione di uno
sconvolto presente, il “viaggio” di Onano si conclude, al termine dell'ultima
raccolta, con una figura volutamente indeterminata, in coerenza con le premesse:
“Noi che portiamo occhi per le cose, ancora possiamo garantire che la persona
portava panni marroni, come una tunica monacale, diritta. Non sappiamo riferire
connotazioni fisiche, gli occhi – a causa della vestizione – le caratteristiche
sessuali (non fosse per una nazarena barba / biforcuta, fiammeggiante)”.
Una intuizione o
identificazione del Cristo o, ancora, una contraddittoria, ambigua proiezione?
In questa ricerca tra la depravazione dell'uomo e Dio trova riscontro la
premessa circa il definitivo scopo del viaggio: “la ricerca – almeno – della
hominità, in attesa dell'umanesimo”. Libro sconvolgente, a tratti, e
coinvolgente al tempo stesso, per l'urgenza della tematica essenzialmente umana,
proprio nella prorompente contraddittorietà.
| |
 |
Recensione |
|