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Sorprende ritrovare, in una raccolta di poesie che pur sentiamo compiutamente
moderna, una misura melodica cui la poesia novecentesca ci ha, in molte
occasioni, disabituato. Ciascuna delle sette sezioni di cui il libro si compone
vive, infatti, di una sua tonalità peculiare eppure avvertiamo, nella raccolta,
una misura musicale che ne unifica i momenti e fa del libro il racconto,
compatto e terso, di un’esistenza.
La poesia di Raffaella Bettiol non canta, come fa tanta poesia stanca di
se stessa, la pena di vivere. Piuttosto legge la vita per istanti in cui
l’inesprimibile si fa improvvisamente colore e ritmo, tono e misura. Al centro della prima
sezione,intitolata Familiari,
campeggiano due figure, i genitori dell’autrice, colti
all’alba di un amore che si annuncia nel turbamento dello sguardo o
nell’inquietudine del cuore. Intorno a loro fluttua un futuro che rumoreggia
lontano, in un crepitio di guerra che insiste ostinato, come un’ eco. La lingua
asseconda nitida e flessuosa, l’onda inquieta del sentimento, ritaglia con
riposato ritmo carducciano le linee dei palazzi, traduce in verso l’impetuoso
fremito di giovinezza che attraversa i corpi e fa mutevole il cielo. Poi, nel
tono, repentino come un lampo, qualcosa muta: gli anni avanzano, la guerra si fa
vicina ed ima luce fredda scompiglia i versi. Lontano il mare ha uno splendore
di ghiaccio. Il verso si fa ansioso, dirada le immagini, il crepitio di guerra
si approssima, figure allampanate compaiono lungo le strade, il futuro ha
sentore di cenere. Ma l’amore matura i suoi frutti e un futuro nuovo si annuncia
per imperscrutabili segni. Il verso si fa allusivo ed oggettivo insieme ed il
lettore coglie, nella casualità dei fatti che s’intrecciano, il disegno di un
destino che percorre a ritroso se stesso e trova nella poesia la propria catarsi, come sembra suggerire
Scuri i capelli,
la bellissima lirica, dedicata alla madre, che conclude l’ininterrotto
poemetto di cui si compone la prima sezione del libro:
Forse due anni
scuri i capelli, gli occhi smarriti,
guardo l’obiettivo
mi tieni in braccio
fiera di questa tarda maternità,
indossi un abito estivo
ma è autunno.
castagne e acini d’uva.
In soffitta cercavo sempre altri sogni
e giochi, tu eri lontana
come assente
in un altrove che non so,
Inutilmente ti chiamavo
fragile cristallo la mia infanzia.
Eppure ora ti rivedo
stringermi tra le braccia
in una quieta felicità,
dietro a noi scorrere passanti.
La seconda sezione, Intimità,
allinea ricordi di persone amate di cui
la poesia ascolta “le voci che evocano sogni anche se, talora, il rimorso ha l’ansia
di una preghiera.” S’incontrano versi dolorosi e struggenti, persone scomparse a
cui la memoria ritorna con l’intimità di un’amicizia che parla senza schermi e
regala alla poesia la cadenza dell’epicedio, ma in una chiave tutta moderna,
mesta e sfuggente insieme. Spicca, in questa sezione, la splendida
L’aurucaria,
“pianta dal nome strano e lontano” a
cui la rarità del soggetto, sottolineato dalla rima interna, regala l’evidenza
del simbolo che parla per emblemi, astratti eppure stranamente oggettivi, come
accade in molte delle Occasioni
montaliane.
Colloqui,
la terza sezione, ricorda, a tratti, il registro inquieto della prima
raccolta dell’autrice, L‘anima segreta,
ma arricchita di una frequenza d’echi
ignota prima. Domina la percezione del mistero che è nelle cose, spesso colte
nel momento in cui svaniscono o esalano indecifrabili segreti. Talora si
respira, nel registro inquieto di questa sezione, una religiosità scorrente che
trova nell’ansia di significato che attraversa molte liriche il proprio timbro
peculiare. Magnifiche immagini solcano la trama dei versi e si impongono al
lettore come subitanee rivelazioni:
l”autunno silenzioso” è “rosso di rose tardive”, cigni nuotano “lungo la Neva,
nella notte bianca”. Al dialogo con l’antico è dedicata la sezione intitolata
all’“Eterno femminino”.
Compaiono le grandi figure del mito da
Cassandra ad Antigone, da Medea alla biblica adultera, a cui la poesia accosta
un mito dei tempi nostri: Marylin Monroe. Proiettata su uno sfondo d’angoscia
ogni figura vive di una sua vita assoluta e insieme remota. Dominano il bianco e
la sensazione di una strana, inerme innocenza.
Brevissima, due poesie sole, ma molto intense, la sezione che s’intitola
“Umanità sofferta”,
dedicata alla morte di chi muore giovane, vittima di una violenza che non ha un
perché. La poesia non recrimina. Piuttosto offre, a quelle morti senza ragione, un commosso sentimento di pietà
sottolineato dai delicati novenari che attraversano il testo.
Spicca un Messico dorato e sanguigno nella sezione dedicata ai
“Luoghi”
visitati dall’autrice con uno sguardo “sospeso tra mito e realtà”
. Tutto è arcano ed insieme
evidente, oggettivo. Ogni immagine si staglia in un presente senza tempo che la
poesia incide, come accade in molta poesia classica, su uno sfondo di assoluto
sottolineato da ricorrenti enjambements
. Metafore immense si addensano
come nubi. Si impone alla memoria, per forza e verità di immagini, l’antica
danza azteca cui è dedicata la lirica che si intitola
“Cerchi rossi tra canti aztechi”
dove il tempo e l’atmosfera di un rito
antico e selvaggio sembrano fissarsi in un istante immobile che trova il proprio
simbolo nel volo concentrico e potente dell’“aquila inseguita dal vento”.
Al tempo presente di un’ intensità di vita che ritorna è dedicata, invece,
l’ultima sezione del libro, intitolata, significativamente, “Ancora”. Perchè un
“ancora” è sempre il tempo che ritorna e sa annullare, in un intenso presente,
anche il morso degli anni che fuggono:
“Non dirmi gli anni...
Luci accese nel salone
le gonne al ritmo della danza
indossi uno smoking nero.
L’intero mio corpo
cinge la tua mano
non dirmi gli anni...
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Recensione |
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