Navicello Etrusco. Per il mare i Piombino
Un cuore
etrusco tra le onde della storia
“Letteratura e Poesia contemporanea”,
Facebook, 21.12.2021
Sovente i
popoli restano legati alle loro origini storiche per quanto remote. Questo vale
di certo anche per i Toscani, che ricordano con nostalgia i momenti di maggior
gloria della propria storia da, andando a ritroso, gli anni in cui
Firenze
fu capitale del regno d’Italia[1],
ai tempi del Granducato di Toscana per arrivare sino ai fasti del popolo
etrusco. Le origini etrusche sono anzi quelle di cui vanno più fieri, se non
altro perché non rappresentano un fugace momento di gloria passeggera ma appunto
l’origine della propria cultura.
Il poeta
Roberto
Mosi sembra
ben conoscere e immedesimarsi in questa passione per i tempi precedenti la
dominazione romana.
Ciò
traspare, in particolare, nel volume che mi è or ora capito di finir di leggere,
“Navicello etrusco”, titolo che prosegue quasi nel sottotitolo “per il
mare di Piombino” (Edizioni Il Foglio, 2018).
Che
etruschi fossero alcuni dei primi re di Roma è cosa se non certa, almeno
probabile. Che anche etrusco fosse quel Dardano che fondò Troia, dalla quale
partì poi Enea per una sorta di viaggio di ritorno verso la nostra penisola e
per porre le basi di Roma forse è solo leggenda.
Per i
Greci, per esempio, questo figlio di Zeus ed Elettra nacque in Arcadia e da lì
si spostò in Dardania, poi ridenominata Teucria per suo nipote Troo, terra dove
sorse poi Troia.
Fu
piuttosto Virgilio a narrare che Dardano venisse dall’etrusca Corythus ed è lì
che il poeta latino fa tornare Enea, alla ricerca della terra degli avi.
Questa
versione sposa il fiorentino Mosi quando scrive “Dardano partì
dall’Etruria / per fondare la città di Troia”, ma questa è per lui occasione
per suggerirci con levità l’immagine di moderni viaggi per la medesima rotta,
quelli dei “migranti in fuga” di oggi.
E già,
perché
Mosi,
con uno sguardo alla storia antica, tiene però i piedi saldi nella quotidianità
e non la dimentica mai.
La sua
Toscana è una “terra che ha smesso / le vesti proletarie per i vestiti /
raffinati della cultura”, che, però, mai può dimenticare le proprie basi
contadine. Mosi alla cultura del suo popolo è sempre attento, così come
ai miti antichi, come ha mostrato anche nel suo “Prometheus”,
che ci parla, per brevi fotografie poetiche, dei tanti muri di ogni tempo.
Come può
far intuire il titolo, “Navicello etrusco” non ci canta solo della terra
ma anche e soprattutto del mare. Quello tra Populonia e Piombino in particolare,
la rotta del ferro degli antichi avi.
E questa
raccolta di versi è un viaggio attraverso queste acque ma anche attraverso il
mare della Storia.
Il volume
è diviso in due parti, l’una dedicata a Turan, la dea etrusca dell’amore, che
come Narciso ama specchiarsi, l’altra richiama l’immagine della statuetta votiva
denominata da D’Annunzio “L’Ombra della Sera” (facile per il lettore non
comprenderne il riferimento, che pare solo una poetica descrizione dello
scorrere del tempo). Due parti ma un unico viaggio nel tempo che ci porta ad
assistere, per velocissimi accenni, piccoli flash fotografici, alle invasioni
barbariche, all’attraversata del Mediterraneo di Rutilio Namaziano, alle
invasioni dei Goti e San Cerbone, alla caccia alle streghe, a Napoleone all’Elba
con Maria Walewska[2],
alla Seconda Guerra Mondiale con la batteria di Punta Falcone, ai disoccupati
dell’era industriale, ai migranti di oggi.
Scorgo poi
in questi versi il passo dello stesso
Roberto
Mosi sulle
spiagge del litorale toscano, Baratti, Populonia, Vada.
“Le
onde mormorano alla spiaggia / bianca, la luna invade / il silenzio della camera”.
“Mi
lascio andare alle onde, il fresco / dell’acqua accarezza il mio nuoto leggero”.
Eccolo
mentre osserva “Marta e Anna”che“sono / padrone della spiaggia. //
Marta compone un tappeto / di ciottoli”. Eccolo mentre affronta le fatiche
dei vacanzieri, “il serpente di macchine. / Una striscia ininterrotta / di
lamiere scintillanti”. Eccolo che “Dalla terrazza dell’albergo”
respira “l’aria del mare”.
Eccolo
attento osservatore della natura, delle “Zone libere / zone che sfuggono al
nostro controllo, / meritano rispetto per la loro verginità / per la loro
disposizione naturale all’indecisione. / La diversità / trova rifugio su il
ciglio della strada”.
[1] Mosi
ha partecipato con un proprio racconto sulle case di ferro all’antologia “Accadeva
in Firenze Capitale”
del GSF – Gruppo Scrittori Firenze, curata da Sergio Calamandrei e Cristina
Gatti e a “Gente
di Dante”
sempre del GSF, curata da Carlo Menzinger e Caterina Perrone, con un racconto su
Corso Donati.
[2] Su
Elisa Baciocchi, la sorella dell’imperatore legata alla Toscana,Mosi ha
scritto il saggio “Elisa
Baciocchi e il fratello Napoleone”.
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