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Nel 1954, all’età di
quarantasette anni, Vitaliano Brancati, una delle colonne portanti della
letteratura siciliana e nazionale del Novecento, si ricovera in una clinica di
Torino per un intervento chirurgico che lo condurrà alla morte. Fino alla
vigilia dell’ingresso in ospedale aveva lavorato al romanzo Paolo il caldo,
libro ritenuto, da molti critici, "il suo più tormentato e complesso".
Lo scrittore di Pachino,
forse presago della morte imminente, decide di licenziare il testo incompiuto,
aggiungendovi una nota in cui sintetizza il finale che avrebbe voluto dare alla
sua ultima opera.
Carmelo Pirrera
– poeta e narratore nisseno, attivo da un quarantennio sulla
scena letteraria, soprattutto siciliana – con questo suo romanzo, Epilogo per
Paolo il caldo, ha voluto tendere la mano all’illustre e sfortunato
"predecessore", in un gesto di pietà per i suoi personaggi ma anche di simbolico
continuum storico tra confrères.
Brancati avrebbe voluto
aggiungere ancora qualche pagina al suo romanzo rimasto tronco. Due giorni prima
di morire, detta: "Si può anche pubblicare il mio ultimo romanzo Paolo il caldo
avvertendo il lettore che mancano ancora due capitoli, nei quali si sarebbe
raccontato che la moglie non tornava (più) da Paolo ed egli, in successivi
accessi di fantastica gelosia, si aggrovigliava sempre di più in se stesso a
sentire l’ala della stupidità sfiorargli il cervello".
L’ultimo romanzo di Brancati
non è, a nostro avviso, tra i suoi lavori più interessanti; spesso appare
prolisso, contorto, privo di mordente. Comprendiamo, tuttavia, la "tentazione" e
il tentativo – riuscito, nell’insieme – di Pirrera di dare un seguito e una
conclusione alle pagine del grande e, ancora oggi, amatissimo scrittore
siciliano.
Pirrera è certamente un
abile narratore – come testimoniano anche le sue numerose sillogi di racconti
(tra le quali ricordiamo Ipotesi sul caso Majorana, 1982, e Il colonnello non
vuole morire, 1985) – e si destreggia molto efficacemente nel suo Epilogo. Egli riparte dal punto
esatto in cui Brancati si congeda, prendendo il testimone della penna ma senza
imprigionarsi in un "copione" che, peraltro, era stato appena accennato in punto
di morte.
Pirrera dà, in effetti, una
sua autonomia e un suo stile al proprio testo, richiamando una Catania e una
Sicilia più vicine ai nostri giorni, con allusioni o riferimenti, spesso sapidi
e ironici, ad autori e ambienti reali, con sicura eleganza di linguaggio e con
costante finezza descrittiva e introspettiva.
Sono
pagine belle, interessanti, spesso intrise di commovente tenerezza, che, a loro
modo, conferiscono una assai degna "conclusione" al brancatiano romanzo
incompiuto: Paolo giunge all’approdo "ragionato" dell’inutilità e
dell’infelicità della vita e la sua stupidità tracima, finalmente, nella follia
di aggredire con le forbici la portinaia e la donna delle pulizie credute, nel
suo delirio, l’atteso scassinatore
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Recensione |
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