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Prefazione a
Quindici racconti newyorkesi
di Enzo Schiavi
Osvaldo Mussio

Molti anni fa attratto da una
manchette pubblicitaria mi recai a Venezia per poter finalmente prendere diretto
contatto con una mostra di disegni di Pablo Picasso allestita a Palazzo Grassi.
Fu un contatto sconvolgente:
quelle righe, quelle strisce apparentemente insignificanti, quelle figure
asimmetriche erano in realtà la prova di una ricerca interiore verso un
traguardo ben definito. Erano l’urlo inderogabile della libertà.
Ho letto i Quindici Racconti
Newyorkesi di Judd Stafford e quel lontano episodio veneziano mi è
ritornato, prepotentemente, alla memoria.
Judd Stafford, con questa sua
ultima fatica, parte dallo stesso concetto di libertà del grande maestro
Andaluso, non tanto per incitare alla lotta, ma per arricchire le sue
aspirazioni culturali e fare una verifica sui già radicati concetti delle sue
esperienze umane. E non è che stia fermo nella sua abitazione a meditare. No.
Judd Stafford va addirittura a
New York perché vuole verificare di persona se quella statua messa lì a salutare
chi va e chi viene, sia veramente l’espressione di quel concetto basilare di
libertà di cui lei è depositaria.
Vuole constatare “de visu” tutta
quella umanità in continua corsa verso un proprio specifico traguardo. Vuole
rendersi conto se c’è qualcosa che giustifichi quel saluto augurale che viene da
lassù, dalla grande statua.
Vuole toccare con mano, si
potrebbe dire, quel variegato mondo che si esprime nel concreto secondo i canoni
di un vivere comune ispirato alla tradizione. E immergersi fino in fondo nei
comportamenti quotidiani di un mondo vissuto da uomini liberi, siano essi
bianchi neri rossi gialli.
Picasso disegna per quella
libertà che non ha, Stafford si confronta e si conforta con quell’esempio di
libertà già in atto, assaporandone il gusto che vaga nell’aria e percependo per
intero la vita della megalopoli. Che è caotica ma libera. Con la sua gente, la
sua fiumana tumultuosa che si muove ondeggiando, la sua confusione, il suo
assorto silenzio interrotto qua e là dai suoi prevedibili rumori e dai suoi
variopinti colori. Non soltanto folclore dunque, ma anche gioia di vivere, e
anche voglia di ridere soddisfatti. Anche tutto questo è libertà. Una libertà
che sovrasta l’implacabilità del mondo che ti scorre davanti, e che la trovi,
concreta e tonificante, nei dialoghi tra Bernie Sardok e il giudice Martin Grieg.
Nei Quindici Racconti
Newyorkesi, impreziositi da mirabili descrizioni di fatti, di uomini e di
donne, Judd Stafford offre al lettore un modello di vita, tumultuosa ma libera.
Picasso ricerca la libertà della
sua gente nell’immensità dei suoi lavori; Stafford, osservatore attento delle
vicende umane, ci dà, con i suoi racconti, un quadro implacabile del mondo
magico che vive oltre Atlantico. I due, in sostanza, esprimono se stessi come
uomini veri di un mondo travagliato ma in cammino. Due uomini che vogliono
vivere e far vivere; e che, pur vivendo in epoche storiche e contesti umani
totalmente diversi, sanno convergere su una stessa linea che porta,
inequivocabilmente, alla libertà.
Non stupisca il
lettore per questo temerario accostamento, così diverso nella natura dei
contributi, ma così obiettivamente unito nei propositi. Chi scrive è consapevole
dell’azzardo, ma è altrettanto certo di esprimere rispetto per un Grande e
incondizionato apprezzamento per un Amico. | |
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