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Alghe e fanghiglia
Poesia. Non si arriva a certi risultati o a risultati certi se non dopo uno scavo nella parola e nell’interiorità, sebbene rivolte al mondo esterno. La vita stessa insegna e traccia dentro ciascuno una via che sarà sempre dissimile e mai ripetitiva se non in taluni elementi. La competenza di un prefatore come Perilli dimostra quante possibilità di sviluppo vi siano anche su un solo testo. L’autrice ha diviso la raccolta in cinque parti, ma oltre la tematica cui ciascuna si attiene, interessa quel percorso poetico, che diviene linguistico e si snoda nell’insieme. Alcuni soggetti si ricollegano, ancorché venga mantenuta una singolarità, ossia il filo, il tempo e il disegno. Nel primo caso lo si evince da una linea consequenziale tradotta e riferita a ciascun momento espressivo. Parlando invece del tempo dobbiamo rifarci a una produzione pregressa, valida anticipazione del presente. E sul disegno, è utile ricordare che l’autrice si dedica in modo parallelo alle due discipline, scrittura e immagine. La copertina peraltro colpisce immediatamente. Quel verde putrilaginoso nasconde qualcosa di più profondo, come la fanghiglia diviene humus. Con questo ci spostiamo da una interpretazione consueta. L’alga, in certe civiltà, è il segno di una vita senza limiti, altrove accade il contrario. Perciò azzeccato appare il frammento da Musil: l’inganno risiede dentro di noi, mentre Nietzsche vorrebbe dimostrare come si diventa ciò che si è. Sapere chi ha ragione non è facile; anzi, vengono a decadere ragione e torto. Inoltre “avrebbe potuto anche andare diversamente” di fronte alle scelte, ognuna delle quali nasconde le sue ipotesi. La grazia è sottesa nel frutto e nel fiore, allorché il poeta si rende conto dell’invisibile filo cui tutti, chi più e chi meno, siamo vincolati. Parlando di libertà verrebbe da dire che siamo liberi, nessuno può togliercela: il poeta Hernández riteneva che non si può incarcerare un sorriso. È vero, la libertà interiore è un fatto di stile, in alcuni solo un’apparenza. La scrittura ci conduce per vie traverse, addirittura terribili, ma subito dopo la poetessa capisce una “libertà sorvegliata”. Da chi forse non ci è dato sapere, se non attraverso quella luce obliqua che proviene dall’alto. Scrivere perciò l’incredibile della quotidianità o gli aspetti corrivi della fantasia. L’esempio è probante: “o legarla captive ad un albero muto”. Se non ce ne fossero altri, questo verso ci illustra una conoscenza che supera qualsiasi immaginazione, poiché nasce dall’istante, la scintilla che gli antichi chiamavano divina, ma non è altro che la nostra suggestione delle cose. Un dato che emerge in questa silloge è il traslato. Ve ne sono di diversi tipi, a volte diventano catacresi, in taluni modi travalicano la stessa invenzione che si basa sulla metafora, sicché ne risulta un traslato doppio, un portare la figura sopra o sotto il significato. C’è un fattore che nella poetica della Dzieduszycka viene notato meno, ed è la metrica. Sebbene la estrema mobilità dei versi tenda a rifuggire da una struttura regolata, càpita di trovare versi che seguono la logica metrica. Ci riferiamo alla terzina iniziale del testo a p. 122. Qui compaiono i doppi settenari, ovvero il verso alessandrino, che vede in Cielo d’Alcamo un progenitore. Un esempio: “a soltanto pensarti viene una vertigine”; nel secondo emistichio occorre dialefe. È l’attestazione di come nella poesia potrebbero in genere confluire la tecnica e l’invenzione, quest’ultima con la condizione sine qua non che derivi solitamente da un evento concreto. Quando però il linguaggio si avvolge su sé stesso entriamo nel regno dell’indecifrabile: crediamo che questa dimensione incognita ci trasporti in un universo quale duplice forza, fuori e dentro. |
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