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Còntame, nona
Poesia. Nell’affrontare testi dialettali si deve tener
conto della trasposizione dalla lingua orale a quella scritta, con le
inevitabili differenze di realizzazione oggettiva. A parte la fonetica che,
spesso non facile da riprodurre, incide sul linguaggio di una determinata area
linguistica.
Si dice che per scrivere in dialetto occorre pensare in dialetto.
Ora, di fronte a questa raccolta, ricca di riflessioni, di immagini e
indubbiamente anche di una sua filosofia, simile premessa torna a proposito.
Riduttivo inoltre sarebbe ritenere il dialetto – che ha le sue regole come una
vera e propria lingua – un modo espressivo limitato solo a certi temi, mentre
qui abbiamo la dimostrazione che è in grado di affrontare qualsiasi tema, con un
aggiornamento, se così possiamo chiamarlo, pure sotto il profilo lessicale, per
esempio nuovi vocaboli.
Indubbiamente rimane quell’aura ‘locale’ che
caratterizza i testi, con la consapevolezza che il mondo si trasforma (Vècia
ostarìa pedemontana), e se accade che sia in peggio dipende dal non saper
utilizzare le tecnologie relativamente alla loro reale funzione senza farsene
dominare. Dimostrazione ne sia che una composizione breve qual è Se inpàra
attraverso la visione di una natura sconfinata si entra persino in una
metafisica non da trascurare.
C’è poi una lirica ‘curiosa’ (Bilinguismo)
ove si alternano italiano e dialetto; d’altronde un certo aspetto traslato è
riconoscibile in Doménega sgiònfa, ma alla fine dobbiamo intuire il fondo
di una realtà che il dialetto riesce a riportarci integralmente, mettendo
l’essere umano davanti alla concretezza delle cose: “Tuto ’l resto va in mona |
e no conta un bel gnente” (Orma, sanpèga, inpronta): in tal caso diviene
una lezione di vita.
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Recensione |
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