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Dopo la marea dei
giorni

Poesia. A volte
può capitare di essere particolarmente colpiti dalla copertina di un libro, che
in genere rispecchia in sintesi il contenuto: così l’eleganza delle onde che si
infrangono fanno pensare a una poetica non priva di momenti tempestosi,
come poi puntualmente accade.
L’intenzione morale (P. Ruffilli) della
poetessa sale anche di grado, diventa esplicita denuncia degli orrori ed errori
che si realizzano nel mondo: sembra davvero che l’umanità non riesca a imparare
dalla Storia. Una poetica di questo tipo ha necessità di espandersi, di
tramutare il tema in canto, in fluidi momenti, ora luminosi ora cupi: è questa
l’aporia che traspare dai versi. Ne escono perciò interrogativi difficili
da sciogliere: se un dio esiste e se è implicato nelle vicende umane.
Si
vorrebbe vedere la sua presenza, ma per chi si attiene al vangelo si
dovrebbe credere per principio e non perché si ha la prova di un’esistenza
superiore. Altra nota ci pare doverosa sulla tecnica, il che non vuol
dire sulla struttura metrica, ma solo quella formale. Siamo convinti che certe
scelte, ad esempio nel caso in oggetto la centratura dei testi, rivelino anche
un desiderio, talora inconscio, di armonia: ogni verso è al centro,
indipendentemente dalla sua lunghezza, acquisendo pertanto medesimo rilievo.
Una
della più potenti rappresentazioni è senz’altro Mostar 93. Qui, con una
scrittura prosciugata di ogni elemento esornativo, il fatto si mostra in tutto
il suo tragico significato: una semplicità ammirevole, con immagini che non si
possono dimenticare: “Un vecchio gira per le strade | chiamando il figlio
morto.” Ora, se un’autrice come la Chiosi, è capace di sollevare in noi
un’ondata di indignazione davanti al terrore, perché dall’altra parte agisce un
male che sembra inarrestabile? Si placa, ma non completamente, il tono, non di
rado apocalittico, nelle Meditazioni: sia chiaro, non un cedimento, ma
una riflessione: scoprire la causa di taluni eventi. Per sfuggirvi, a chi
rivolgersi?
La natura segue un’altra strada, dove le passioni si estinguono nel
moto implacabile della vita e della morte. Ce lo dice la terzina in corsivo
della lirica Premio o condanna: quel Ma, che dovrebbe essere
congiunzione, riveste funzione avversativa, forse una separazione tra l’umano e
il divino, fra stati di contrasto e l’impassibile coscienza che regola il cosmo.
Gli aspetti più deleteri di certe ideologie sono tradotti in Myriam con
quella forza icastica e concettuale già notata altrove. Si arriva fino ai giorni
nostri: la grande domanda non è esaurita, tuttavia un libro come questo può
indicarci la via da percorrere.
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Recensione |
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