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Frattaglie
Prosa. Anche nel campo della prosa l’autrice è in grado di fornire una prova
autorevole. Ma come dovremmo chiamare questi lavori? Se lo chiede anche
il prefatore, proponendo di volta in volta pezzi, brani, frammenti, eccetera.
Forse frammenti, perché i pezzi – probabilmente la definizione che meglio
si attaglia – risultano compiuti, con un inizio e una fine e una forma
giustificata che in ogni caso appartiene alla narrativa.
Neppure brani ci sembra
una definizione appropriata, a meno che l’autrice avesse pensato a una raccolta
in cui assemblare più brani tratti di un’opera maggiore. Comunque sia,
chiamiamoli pezzi, quella specie di stück
che in genere in musica si traduce come pezzo. Ciò non vuol dire una
riduzione della qualità, tutt’altro. Già dall’esordio (Recinto) ci
troviamo di fronte a una scrittura fortemente creativa, anzi fantasiosa,
capace di trarre immagini inedite, pur mantenendo il dato comunicativo.
Una
pirotecnica forza propulsiva pare non arrestarsi, benché ogni testo sia
racchiuso in un’area ben determinata. Il titolo è di certo ironico, ma non
tanto: se infatti andiamo a fondo nella lettura di ogni singolo pezzo ci
accorgiamo che dentro vi è tutto, o quasi tutto, con una notevole differenza dal
postmoderno poetico: ma là abbiamo gli scarti, qui l’invenzione scatenata che
sviluppa dal lessico tutte le capacità che contiene; un lessico allargato,
impossibile da arginare entro definiti confini, si direbbe un ossimoro formale
la ricchezza dei contenuti linguistici che non conoscono barriere e la rigida
delimitazione sulla pagina. Per il lettore sarà quindi un viaggio che riserva
continuamente sorprese, mai uguale a sé stesso e imprevedibile, quella
imprevedibilità cui ci ha abituati la nostra poetessa, talché pure lei si chiede
“è prosa poesia è sogno pandemia?” Ecco un punto su cui ragionare.
In molti la
pandemia ha ridotto le facoltà creative, riducendo l’opera d’arte a un lamento,
anzi a un eiulato, come se fossimo cani costretti alla catena. Al
contrario, le frattaglie sono in pratica una liberazione della parola,
stimolata da eventi che non sempre è possibile controllare. A volte sussiste la
volontà di iniziare una storia, vedasi Tramonto, ma ben presto la
dimensione icastica prende il sopravvento, e ci presenta un quadro terrificante,
e per l’uso che viene fatto del linguaggio, e per una innata abilità da far
scaturire la inventio nel senso più alto.
Se rileggiamo, ogni cosa
diventa più chiara, e questo vale anche per altri autori che per un loro stile
meritano la massima attenzione. Non si creda che le frattaglie siano un
titolo negativo. Qui emerge una specie di autoanalisi che rappresenta il dominio
sulla parola, libera però di emanciparsi e di estrinsecare i vari elementi di
cui è composta: “Quale valore avrà questo versificare senza senso né rime né
ragione o regole”? Un grande valore, che rinnega quel che prima sembrava
inamovibile. Allora ci coglie il dubbio che le frattaglie siano poesia, e
a onor del vero se vogliamo accertare che lo sia, diversi momenti lo confermano.
Una conferma ravvisabile in Lassù, arrivando persino a prefigurare un
lato romantico, ma poi rischia di venir dissacrata mostrandosi dolciastra
e grassottella: chi mai l’avrebbe supposto?
Povera luna, finalmente qui
trovi chi non si ispira a te con ipocrisia. In qualche caso incontriamo dei
ritratti, se così possiamo chiamarli, come quello del bullo, che sarebbe per
taluni versi ‘simpatico’ se non fosse che le sue azioni finiscono malamente.
Colpa degli animali? Oggidì uno degli sport preferiti è fare danni e dare la
colpa a qualcun altro. In verità nessuno è colpevole se segue i suoi istinti.
Siamo pronti a perdonare anche a Gilles de Rais. Di questo passo ognuno farà
quel che vuole. Un aspetto che è necessario rilevare in queste frattaglie:
possono mettere il buonumore. In una società che finge di essere seriosa
è cosa non da poco, è anzi un merito che andrebbe premiato. Occorre però trovare
un premio intelligente, e di questi tempi è una ricerca piuttosto ardua.
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Recensione |
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