Il fiore della
poesia boliviana d’oggi

Antologia. Assai
simile come impostazione all’altra antologia (sulla poesia colombiana), con la
differenza che i testi occupano meno pagine. Dieci comunque gli autori riportati
– nati fra il 1943 e il 1973 – e sebbene la silloge di ognuno appaia ridotta si
tenta da darne alcuni spunti di tipo indicativo.
Sintesi e variabilità
anche versale come escursione (Paura Rodríguez Leytón). Magia e sentimento delle
cose: “Un canto profondo, in un idioma arcano” (Gabriel Chávez Casazola).
Fantasia ‘intricata’ fra carnalità e spirito (Mónica Velásquez Guzmán).
Attenzione all’equilibrio formale del testo (Beniamín Chávez). Un passaggio per
cui l’idea diviene parola (Oscar Gutiérrez Peña). Di non facile decifrazione
stilistica per la imprevedibilità (Vilma Tapia Anaya). Quanto gioca la
corporeità: corpo-reità (María Soledad Quiroga). La quotidianità con segni pure
‘repugnanti’ poi l’idea celeste: “e il cielo nasce dappertutto” (Gary Daher). La
figura di ‘schema’ dà risalto, l’essenza (Norah Zapata Prill). Cadenze in
distici, che la musica nasca per caso o volontà — versi quasi classici (Eduardo
Mitre).
Come ci segnala il curatore, la poesia boliviana è pressoché sconosciuta
in Italia, quindi l’antologia rappresenta una gradita sorpresa, e mette in luce
che il fare poesia sotto qualsiasi latitudine vincola spiritualmente tra loro i
popoli, ciascuno con una precisa identità, che peraltro connota l’area etnico-linguistica in cui si forma.
Da qui l’importanza di pubblicazioni che
traducano la lettera e lo spirito dei testi in altre lingue, nel presente caso
un’operazione senza dubbio riuscita, tanto da allargare la visuale da cui il
linguaggio creativo può essere considerato.
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