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Incanti. Charmes

Poesia. Su Valéry
(1871-1945) molto si è scritto e molto ancora si continua a scrivere. Venendo
dopo Rimbaud, certamente di quel poeta sono rilevabili tracce qua e là, ma se ne
discosta per un certo ‘accademismo’ che in Rimbaud è invece dissacrazione. Di
tale procedimento infatti pochi sono i momenti rilevabili. Perché dunque si
parla anche di retorica? forse per i numerosi esclamativi che compaiono
nei suoi versi? Vi sono più modi di considerare un poeta: o si parte da gusti
personali – ed è una via che non consigliamo – o si cerca di ‘oggettivare’ la
critica, sforzandosi di penetrare l’universo linguistico e umano che il poeta
rappresenta. Se si cerca la poesia pura, per Valéry non sussistono dubbi: c’è, e
ad alto livello.
Un apparente disimpegno non deve venir confuso con la sostanza
espressiva: “Il vento si leva! Occorre tentare di vivere!” — uno dei versi più
famosi. Col francese esiste, seppur in misura minore a confronto di altre
lingue, il problema della versificazione, e in primo luogo del suono,
sovente impossibile da tradurre. La traduttrice segue, né poteva fare altro, ciò
che molti traduttori fanno: interpretare il testo mirando al contenuto, tuttavia
con una certa attenzione al dato letterale. Prendiamo dal Cantico delle
colonne due versi: “Douces colonnes, ô | L’orchestre de fuseaux!”
Traduzione: “Dolci colonne | O orchestra di fusi!” In francese c’era ovviamente
la rima baciata.
La metrica francese basandosi sulle tronche, in italiano deve
invece adattarsi con le piane. Le sylphe (Il silfo) riesce a mantenere il
senario sul quinario: “Ni vu ni connu” che diventa “Né visto né noto”, e così
per altri versi. Un impegno per il traduttore è pure il lessico, per cui
feuillage diventa frondame, invece di fogliame, ma qui vi è
libertà di scelta. Altro esempio: exhalant diviene alitando,
benché il verbo sia più vicino a esalare.
Non resta quindi che leggere
sia l’originale che la traduzione: avremo la possibilità di un doppio incanto
(charme).
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Recensione |
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