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La parola
trascesa e altri scritti

Saggistica. Il
critico, o l’interprete, che si trova di fronte un’opera come questa non può che
esprimere un parere, mai una valutazione: in quest’ultimo caso gli
strumenti di cui si dispone dovrebbero almeno essere idonei come il lavoro che
si vuole esaminare. Perciò tale parere si fonderà su alcuni tratti in cui
sembrano convergere le stesse coordinate, o rivelare qualcosa di incognito.
Il
principio da cui parte il saggista è la fede, da non intendersi però come
confessionalismo, ma quale acquisizione che sorge quasi spontanea nella
coscienza di sé. Quindi idea e non ideologia, riflessa nell’arte, sul cui senso
finale diversi si sono dichiarati scettici. Piuttosto è la visione dei
fenomeni a venir considerata, e qui troviamo due volte citato Husserl,
fenomeni che si estendono anche al piano artistico. Nella lingua esiste, come
peraltro in altre discipline, il polisenso, vincolato ovviamente alla polisemia.
Occorre di necessità leggere attentamente l’introduzione, per poter poi
proseguire nei successivi saggi.
È quasi scontato che i saggi qui proposti diano
adito a una serie di interrogativi: se non fosse così, sarebbe una supina
accettazione dei testi. Perché dunque un saggio riesca appieno conviene
all’erudizione associare l’amore per la materia trattata. Nel II capitolo
(Presenza e fascino di Orfeo) si segnala l’attraversamento del mito
divenuto evento orfico, la cui influenza è praticamente sconfinata e investe la
cultura nel suo insieme. Basti pensare a quanti e quali musicisti si sono
avvalsi della figura di Orfeo. Tra essi si riporta un compositore purtroppo poco
noto, malgrado l’elevata qualità delle sue musiche, Luigi Rossi: il suo Orfeo
ebbe un successo tale per cui il cardinale Mazzarini dovette impartire ordini
affinché l’ingresso nella sala fosse regolato (A. Ghislanzoni). La cantata
Nel chiuso centro fu giudicata dal Radiciotti una delle più perfette
composizioni dei Pergolesi. Quindi, un mito o figura o simbolo, capace di
tradursi a sua volta in autentiche opere d’arte.
Nel IV capitolo («Saggezza»
dell’interprete) ci ha colpiti un passo: su taluni testi, specie se ardui,
si rischia. Il critico, in effetti rischia, di travisare o di andare oltre a ciò
che lo scrittore o il poeta o il letterato intendevano, e non ultimo di
banalizzare. Missione quindi delicata, e a volte si preferisce il testo nella
sua nudità, poi ciascuno interpreti come vuole: ma, si è detto, la critica
possiede linee sue divenendo infine una disciplina che si distacca dal testo
esaminato. Indicazioni in tal senso ci vengono dal capitolo V (Lo stile
dell’interprete letterario), ed è fondamentale che l’opera in esame sia
approfondita sino a far parte dello stesso patrimonio conoscitivo del critico o
dell’interprete.
Altro punto di estremo interesse è l’esecuzione vocale
del testo poetico, che pone non pochi problemi poiché la voce può
costituire perfino delle sfasature tra il significato inteso nel suo complesso,
cioè con la parte tecnica della versificazione, e ciò che l’autore voleva
esprimere. Alla fin fine, o un robot recita secondo i parametri introdotti, o si
lascia il testo scritto sulla pagina, con il suo valore grafico e visivo,
rimettendo al lettore l’impegno di leggerlo mentalmente o oralmente, quindi con
una decifrazione personale: è evidente che una poesia non dice la medesima cosa
a lettori diversi.
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Recensione |
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