| |
Le code del drago

Narrativa. Uno
degli elementi che oggi nei narratori sembra scarseggiare è la fantasia,
il che non si può certo dire del nostro autore, dove la dimensione fantastica
entra appieno e si coniuga al dettato creando in tal modo un doppio piano,
quello narrativo e quello squisitamente linguistico. Or dunque, la storia che si
sviluppa in capitoli, ed effettivamente come episodi singoli, potrebbe
rappresentare una fuga dalla realtà, ma nello stesso l’analisi di una realtà che
trova nel linguaggio la sua dimensione alternativa. A volte l’insistenza assume
una valenza quasi ritmica (Gli specchietti) e serve a ribadire quella
conoscenza che attraverso la scrittura ci porta in universi dell’immaginazione
non più soggetti alle regole della logica. È comunque, quella di Marco Buzzi,
una scelta che affronta con inconsueto rigore, lasciando ad altri il rapporto
tra la ragione e i fantasmi che sorgono non di rado da un sostrato informale.
Qui è possibile qualsiasi metamorfosi, e gli oggetti, che possono trasformarsi
col passare del tempo, di colpo assumono forme impensabili. Chi ama le sorprese,
ne troverà a bizzeffe. Ma c’è qualcosa che filtra tra le parole, i lacerti di un
tempo reale che sembra premere contro la libertà del pensiero, incidendo sebbene
non più di tanto nel tessuto espressivo del racconto. Il regno naturale alla
fine fuoriesce, con discrezione si dovrebbe dire, ma incisivo, ed ecco che il
pelo diventa erba alta (L’ascia di cristallo), senza rompere
definitivamente la relazione anche figurale che sussiste tra i due elementi.
Tecnicamente l’autore si attiene a certe norme consolidate, tuttavia il lettore
cerca il filo conduttore, ma nel caso presente deve aspettarsi pagine in
continuo mutamento: la logica, qualora ci fosse, riguarda le convenzioni, mentre
la fantasia è una dote che non si ottiene con gli studi, ma è innata, e
scaturisce in modo particolare nel ‘viaggio’ che affronta un bambino, “lontano”,
in un’altra sfera creativa.
| |
 |
Recensione |
|