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Poesia. Secondo quanto risulta si tratta di un poemetto diviso in tre ‘atti’ con personaggi diversi. Stando a Oscar Wilde si dovrebbe giudicare dalle apparenze. E oggettivamente la prima idea che ci viene è quel linguaggio a uso personale come in Dario Fo o nel gramelot, dove le regole, se ci sono, vengono applicate in modo individuale, con continui mutamenti.

E ci viene anche da pensare a Horcynus Orca, seppur in questo caso riferito al ‘dialetto’ siciliano. Una prerogativa del poemetto è che, malgrado le varie ‘deformazioni’, appare comprensibile, e persino godibile. Naturalmente richiede da parte del lettore la capacità di distillare, per così dire, i versi, che alla fine risultano normali endecasillabi nella loro varietà di accenti — ecco quindi il senso della dieresi che troviamo per far quadrare il metro.

Va detto, a onor del vero, che i precedenti paragoni da noi proposti sono di scarsa utilità, erano unicamente una traccia attraverso i vari idiomi, indipendentemente dalla loro diffusione, che il mare magnum della langue contiene. Ma la morale viene fuori, eccome. Dunque la “piccola luminaria de menzogna” che quadra con la realtà odierna dove sempre meno si distingue la verità. E l’uomo con “l’immenza panza” chi rappresenta? e non c’è un calco dantesco nel verso “aspirare, assemblar, tuernire merci”?

Come si vede il poemetto non è da considerare una bizzarra inventiva, poiché dentro circolano quei messaggi che ci dicono di una società ove spesso affiorano “La violenza, lo furto e la menzogna”. Perciò sono versi da seguire passo a passo nelle vicende in cui si articolano, con l’indubitabile perizia di terzine che rinviano a un arcimodello. Utili le note poste in appendice per capire che i riporti cólti non sono pochi.

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