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Pass dopo pass
Poesia. Dal
Trentino questi sonetti che inducono a più di una riflessione. Intanto la forma.
Il sonetto continua a esercitare, nella perfezione formale, un fascino che
attrae e mette alla prova le capacità anche espressive di un autore
(ricordiamoci di Eliot). Quando poi viene proposto in dialetto (Inutile dire che
la differenza tra lingua e dialetto può essere discutibile) ne escono
interessanti soluzioni. Per esempio, nella poesia a metro libero taluni fenomeni
compaiono raramente. Prendiamo la dialefe, che la poetessa invece utilizza nel
migliore dei modi. Esaminando il primo sonetto ci rendiamo conto di una
ritmica inconsueta: “Morir dì dopo dì \ en font ai òci”; non soltanto si
potrebbero ipotizzare tre accenti in clausola, ma la dialefe segnala un
endecasillabo a maiore che preso a sé diventa settenario. Per riprova, l’ultimo
sonetto: “ti, maia calda, ti \ el fil de lana” (si confronti il primo
emistichio).
Se poi si va al lessico, certe parole non trovano riscontro nella
lingua italiana: “tut taconà, sbusà da quei sfoiàzzi” (Sonetto 4);
sfoiàzzi, cartocci delle pannocchie, più generico e inesatto sarebbe
tradurre con brattee. In certi casi la radice comune scompare: “Névega
stanòt al stròf del cantón” tradotto con buio sostantivo. Spesso si può
tradurre mantenendo il metro: “la vòia de zugar l’è ormai sfiorida” (la voglia
di giocare è ormai sfiorita).
Detto questo, è ovvio che la poetica dell’autrice
non è solo sapienza tecnica, ma valenza creativa. Le metafore rendono ancor più
pregnante un linguaggio per sua natura foneticamente ricco. Per un motivo a
nostro avviso notevole: cioè pensare in dialetto, in modo da proiettare
sulla scrittura una inventiva che è caratteristica di una realtà interiore, ma
comunque realizzata accanto al paesaggio, dell’anima e dei sensi.
Tali maniere
di porsi spingono a considerare che per la poesia i vocaboli sono uno strumento
duttile, e l’intensa dinamica della fantasia riesce a connettersi con le cose e
gli eventi più ‘umili’ per trarne la bellezza riposta. Così salvare i dialetti
significa salvare insieme la nostra bella lingua, bella ancor più se viene
sviluppata nelle cadenze profonde dell’immaginazione.
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Recensione |
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