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Sabbia e luce
Poesia. Nel percorso letterario – e in quello squisitamente poetico – di un autore vi sono dei momenti di svolta: il che significa che avvengono delle mutazioni che testimoniano di un evolversi verso diversi orizzonti, senza tuttavia venir meno alla propria identità. Certi caratteri comunque permangono. Ci riferiamo in particolare a quelle peculiarità che da sempre contraddistinguono lo stile di Sato. Nello specifico, la questione si accentra sul lessico: più rari si fanno qui gli elementi linguistici per adire invece a una scrittura che punta anzitutto all’eleganza e alla perfezione testuale. Vale la pena citare alcune di questi dati meno comuni, per esempio amorfità, e la a privativa lo riscontriamo in asferica, pertinente alla professione del poeta, oppure taluni arcaismi che danno linfa nuova al contesto, anche se ciò sembrerebbe impossibile: ruìna (verbo) e ruìne (sostantivo). La struttura semantica con mutazione del senso la troviamo a p. 135: “nel terrestre paradiso d’a(mare)”. Tutto ciò può servire da introduzione per affrontare la sostanza del discorso che il poeta esercita su tutte le parti della sua raccolta, cambiando spesso il registro, che diventa duttile: “Sognerò del fonte | e lieve un dolce aprire”; ci pare opportuno segnalare che qui fonte è maschile secondo il linguaggio poetico d’un tempo, vedi vicino al fonte (nota d’archivio). Si snodano allora belle intuizioni: “nelle rime degli occhi socchiusi” — non si poteva creare un’immagine che desse una così ardita eppur calzante metafora, idea base che incontriamo più avanti con “la rima degli occhi”: queste immagini si muovono quasi in una linea di sesto senso, allorché la parola approda a inesplorati lidi; e tale nostra affermazione riceve riscontro proprio dallo scenario cui il titolo prelude: il mondo marino, in ogni sua varietà, colto da “amorosi sensi” e dal suo più intimo significato che la sua vastità pare nascondere nel regno remoto degli abissi. Ma anziché determinare un’oscurità insondabile, non di rado i versi si schiudono a una solare bellezza: “Si svela | il fiore nel giallo oro”. Rileviamo dunque un rapporto non conflittuale tra luce e ombra; peraltro in Sato la luce è un simbolo ricorrente per un insieme di coincidenze, come attestano i titoli di alcune sue sillogi. Quando la materia riesce a prendere il sopravvento con le sue immagini quotidiane, case o finestre, una valenza poetica le trasforma, ponendole in un chiarore meridiano, memore però del buio che qualche edificio nasconde. Si arriva a percepire un tono tattile (L’amore liquido) che giunge là dove la parola rimane incontaminata ed esplode in tutta la sua potenza rappresentativa. Con uguale concetto il suono assume la sua identità fonica, e si ripercuote quale evento sonoro che riecheggia in relazione all’oggetto: “Ohh continuata conchiglia”. La conchiglia è uno dei cosiddetti sotto emblemi o dato iponimo che appartiene alla più vasta allegoria del mare: la doppia h difatti produce un effetto straordinario in virtù di un piccolo dettaglio, ma tutt’altro che insignificante. Ma l’universo equoreo sarebbe una entità priva di incidenza sul piano creativo se non fosse vivificata dalla presenza umana, traducendo la sua umanità nella natura che la circonda. Questo insieme di dati che emerge dalla lettura costituisce una novità, poiché l’autore nel riaffermare quei principi che rendono personale la sua produzione tende a superarsi, a scrutare nuovi spazi verso la prospettiva di un’opera aperta, e quindi in divenire, fornendo nel contempo gli esempi di una scrittura in grado di trasmettere emozioni, ma ancor più percezioni, luoghi dell’idea e segni della materia tradotti nel linguaggio ma in funzione spirituale. Ci pare che Dio appaia solo una volta nelle liriche, in una terzina che definiamo memorabile: “Il fiore bianco teso scuro dal vuoto | dorme circonflesso dalle reti di Dio: | sabbia e luce riprovano a tornare”. Per quanto certuni possano ritenere criptici questi versi, la loro bellezza travalica la comprensione di una logica che non segue le nostre vie. L’immagine si irradia come centro dell’idea, nulla vi sfugge, ed è l’ispirazione a essere il primum movens, senza la quale non si crea poesia. |
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