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Per sillabe e lameLa ragione profonda a muovere il ritmo consonante/dissonante del verso di Francesca Simonetti in Per sillabe e lame e la consapevolezza che la poesia (e la sua operosa azione regolatrice) è in grado di far risuonare "le sillabe del futuro" disseminando scintille e schegge "per rifarsi fiore / radice". Ed è in questo tentare continuamente, come accade rileggendo l'ultimo libro della Repubblica di Platone, la definizione dell'anima che il tempo può rendere manifesta soltanto come "futuro" che la Simonetti va indagata nella sua essenza di donna viva e reattiva e nel suo essere alle prese con la parola poetica esploratrice di conferme e di rapide proiezioni::
Si tratta, a ben vedere, di un susseguirsi di immagini poetiche, di momenti riflessivi e speculativi (peraltro messi in luce dal Ruffilli nella prefazione "Melodiando la parola") dove si rivela un'austerità morale che addita e/o ricorda la funzione più vera e legittima della nostra poesia stessa, intesa questa come strenua e continua ricerca e invenzione dell'anima e del tempo. Ed è ne "Le vene del tempo", che a me pare una delle liriche di maggiore spessore della raccolta, che la ricerca inesausta della Simonetti ricompone un modo profondo di partecipare alla condizione dell'uomo. o non soltanto. come grido di sincerità, ma come misura della coscienza " perché tornano giorni ignoti / come note stonate del respiro / che sfiora il trascorso tempo / nella speranza di farsi canto..." fino al delicato pudore con cui svela una familiare aspettativa: "...è il volto di mio padre uscì dall'ombra / e sconfiggendo la morte / sostò per un tratto sull'orlo del vuoto...". Avviene cosi che la Nostra, presa coscienza della forza anche melodioso-sinfonica della poesia, si trova a contatto con l'intera verità inesplorata della cosmologia del poiein. Una sostanza, questa, che cresce, soverchia, supera la fase ispirativa e chiede insistentemente una forma propria. Non è un caso che il ricorso agli scrittori a Lei più consentanei vengano richiamati o chiamati in causa accogliendo quelle esperienze con il beneplacito della conquista se non della condivisione stessa, riconducendo il tutto ad un solido impianto esistenziale. L'allusività, certi simboli nella Simonetti si diradano con aperture verso un realismo spontaneo in quanto suggerito dalla realtà o dalla condizione dello sfogo o del documento: ma è sempre il gioire o il soffrire del sentirsi umana tra gli umani) Sicché la poetessa chiudendo il suo "Congedo" in forma interrogativa, mette in riga le sollecitazioni interne al suo sentire perché esse trovino, pur se " la finitudine ci opprime", una propria serena non illusoria luce e speranza.
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