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Con questa
agile plaquette Laura Pierdicchi ha conquistato il 5° posto al Premio Città di
Pomezia 2009, ma, scrive Domenico Defelice nella postfazione “i premi non hanno
mai decretato con assoluta certezza la validità di un’opera”. E’ una
precisazione molto importante per non cadere nel tranello di pensare che solo se
vincitori si ha diritto di cittadinanza nella “città dei poeti”, poiché in
questo caso, il premio in questione è uno dei più importanti per l’inedito di
poesia, e, secondo il nostro modesto giudizio, anche la segnalazione è un
riconoscimento tangibile, per la serietà del premio, per il rigore col quale
vengono selezionati i testi, per il prestigio del suo Fondatore e Organizzatore
Domenico Defelice.
La
prima sezione del volume “In Ricordo” riporta in un certo senso alla temperie di
“Bianca era la stanza”, dove la fatica di vivere (e di morire), l’asetticità
delle stanze ospedaliere hanno l’odore della decomposizione e della morte in
agguato. “I lunghi corridoi tirati a specchio | neanche una sedia – la barra al
muro | (unico freddo appoggio | per chi resta ancora in piedi) | le camere a
quattro letti – tutto uguale | anonimo || e poi loro – gli ospiti in attesa
| in
odore di morte”.
La
Pierdicchi però non si limita ad osservare, constatare, ma spinge ad una
ulteriore presa di coscienza per poter trovare una via d’uscita, anche quando
forse non c’è. “Forse la morte è meno tragica | della paura costante -
| forse è
lo stesso nulla | di quello prima dell’inizio”. Osserva ancora Domenico Defelice:
“A noi sembra che la poesia di Laura Pierdicchi, bella e traslucida, continui ad
essere dominata dal nichilismo e da una sofferenza sorda, intima, corrosiva.
Ecco perché i più veri dei “volti”, i suoi più concreti personaggi,
occulti o palesi, erano e rimangono il disagio, il dolore e la morte”.
Ma
la parte più importante della plaquette, secondo noi, è la sezione, “Briciole”,
che evidenzia in modo più marcato l’originalità e la limpidezza del suo stile, e
se da un lato c’è la conferma di una scrittura che si avvale del quotidiano,
della introspezione e della semplicità del linguaggio per rivelare un mondo di
sensazioni e “verità” che solo il poeta autentico riesce ad esprimere,
dall’altro la capacità di incidere su registro limitato forti orizzonti
spirituali o esistenziali, dove in pochi versi viene delineato un mondo (“La
felicità | ha molecole rilucenti”; “Se Cristo è illusione | l’assoluto è altro in
me || se l’altro è concezione | di forma e di pensiero”; “Ti confesso: ho
creduto || Il Verbo era in me | dopo l’ho perduto || ma ti confesso: in fede vai
leggero”), apre a riflessioni altrimenti impensabili e lo fa però in modo
“leggero”, senza che il lettore avverta la pur minima forzatura
Bastano pochi versi per capire come in Laura Pierdicchi semplicità di linguaggio
e profondità di pensiero formino un connubio inscindibile. Così, la lettura
avviene in modo spontaneo, anche veloce, se si vuole, ma poi la mente si
sofferma naturalmente a riflettere, a considerare come quel verso, quella parola
sono graniticamente necessari, esprimono l’idea nella sua integrità. E’ la parte
più “nuova” di questa raccolta, dove si avverte la necessità di uno sguardo più
ampio e di una più rigorosa attenzione all’uso della parola che deve essere
essenziale e illuminante. | |
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Recensione |
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