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Il canto del Luì
“Ma
quando ero morto ridevo”, così, in questa breve frase si può riassumere lo
spirito di questo romanzo, un romanzo di un corpo in disfacimento, narrato come
un marchingegno comico che va in scatafascio. Un continuo paradosso dove il
protagonista passa da avventura ad avventura come una stella cometa che non sa
che sta bruciando, e con l’ardere illuminare le illusioni di chi la vede.
Il
protagonista è malinconico, ma di una malinconia allampanata, si potrebbe
parlare di un racconto come l’illustrazione di una natura morta, una Vanitas
seicentesca, dove San Girolamo comicamente riflette sulla morte contemplando più
che un teschio, una verza putrefatta. La morte, e tutto il non-sense della vita,
è al centro di questo canto, sì, perché più che un semplice racconto si può
parlare di canto, di poesia molesta, una poesia disillusa dell’amore, ma che
pure continua a innamorarsi di tutto, della signora Carlotta, “La signora
Carlotta sapeva come conquistarmi: con piccoli scuotimenti del corpo, col
sobbalzare degli enormi seni…”, della Virginia, “si divertiva a nascondersi in
qualche angolo della casa, ma io la scovavo sempre inseguendo il suo odore d’uva
passa”, la signorina Rosetta, “lei aveva una predilezione per l’Arcangelo
Gabriele e io per Belzebù, vestito di stracci”, ma il protagonista come in un
caos continuo, è accompagnato anche da una schiera d’animali: il porcellino
d’india di nome Ismaele, il pappagallo, il cane Fido, che lo difende dai
malintenzionati.
Poi si innamora di una bambola di gomma che lo accudisce in
tutto quasi fosse un bambino, perché è con lo sguardo di un bambino, di un
vecchio mai cresciuto, che si dipanano le disavventure narrate da Rondi,
disavventure come quella di un grosso omone, di nome Guardacielo, perché
scrutava in ogni momento il cielo, e avvertiva il canto del Luì, un passeraceo
il cui canto suona più o meno come “cif-ciaf-cif-cif-cif-ciaf”, che rappresenta
un simbolo di morte, perché si dice che quando canta la morte si sta
avvicinando.
Ed è in queste immagini paradossali, l’ingenuità, la fanciullezza
di Guardacielo, che pure nasconde il segreto di saper riconoscere l’arrivo della
morte, come la propria morte, che al protagonista gli viene annunciata con una
lettera con scritto il proprio epitaffio, come in un teatro dell’assurdo, perché
dopo un po’ è stanco di essere morto e ritorna in vita, così senza problemi,
contro ogni logica e, come se fosse la cosa più normale del mondo, ad un certo
punto, per qualche pagina cambia sesso, e si diverte a farsi palpeggiare dagli
uomini. “in effetti tutti i vecchietti bavosi impazzivano per me, che facevo la
vamp spaccacuori, mostrandomi disinvolta e a volte sfacciata…”.
Un
divertissement, un vero e proprio canto barocco quello di Rondi, dove tutto può
essere possibile, un teatro delle marionette, dove tutto è mosso da un ente
superiore cinico, che non lascia spazio agli individui, i quali riprendono un
po’ di potere grazie al riso, al riso sulle proprie miserie.
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Recensione |
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