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Il nuovo libro di poesia di Roberta Degl’Innocenti titolato
I Graffi della Luna è prefato dallo scrittore e saggista Paolo
Ruffilli e dedicato al marito Stefano.
Suddiviso in sette sezioni, ha una lirica di apertura
intitolata “Ogni donna” dove la poetessa ci accoglie consapevole
della propria identità che è vita, e una lirica di chiusura intitolata “Scrivevo
sempre i sogni” dove, libera, si confida da quel suo mondo estatico che
coinvolge; nella sezione centrale troviamo poi una sola poesia che, dedicata al
cantautore Fabrizio De Andrè, ritorna a noi dal tempo degli ideali forti
dell’impegno, nel sentimento di anni giovani e vissuti.
Con la prima sezione “Turchina”, dove troviamo la
lirica che dà il titolo al testo, Roberta Degl’Innocenti ci accompagna dentro lo
sguardo attento delle motivazioni vive del proprio essere divenuto sostanza e
creazione, e mentre il lettore arriva nella nuova tappa intitolata “Ragazzi e
sogni”, il viaggio si nutre dell’elemento femminile che seduce con la
scoperta di un sentire che esiste nella sensualità purificata dell’età innocente
e di un amore che riesce, per incantamento, a rimanere giovane oltre ogni
soglia. Ci sorprendiamo poi nella sezione “Il sogno della neve”,
di ritrovarci immersi nel tempo dei giorni e dei luoghi abitati e rievocati
dagli spazi degli inverni passati per approdare, di contro canto, nella
esplosione di colore caldo a cui ci prepara la sezione “Rossomiele”. Da
essa poi, la poetessa ci fa passare lungo i luoghi imprevisti dei “Viaggi
indiscreti” per portarci là dove “La casa dai mattoni rossi” racconta
della radice prima e nutriente dell’elemento caro e vivido dell’infanzia a
ricordare ogni inizio di una materia poetica interiore e alta.
Opera a sezioni dunque, ma corpo unico tessuto da
caratteristiche linguistiche rare e trasversali in cui le parole diventano
sigilli e chiavi allo stesso tempo; sonorità morbide, tese a raggiungere un
nuovo livello, tra la terra e il cielo, con cui Roberta Degl’Innocenti ci
appassiona nell’ascolto di una ricerca letteraria in cui il mondo e l’esistere
sanno di miracolo.
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Recensione |
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