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La Tigre Reale
Regia di
Giovanni Pastrone (Piero Fosco)
Soggetto e Sceneggiatura di
Giovanni Verga, Casa di produzione
Itala Film. Interpreti: Pina Menichelli
(contessa Natka)
Alberto Nepoti
(ambasciatore Giorgio La Ferlita),
Valentina Frascaroli
(Erminia),
Febo Mari
(Dolski, il guardacaccia), Ernesto Vaser
(droghiere),Gabriel Moreau
(conte de Rancy),
Enrico Gemelli (Bonaventura
Ibañez). Italia-1916-118 minuti.

L’ambasciatore di Parigi,
Giorgio La Ferlita incontra durante un ricevimento la contessa russa Natka,
dalla quale rimane affascinato, e per lei sfida a duello un altro uomo. Dalla
donna viene più volte incoraggiato e respinto, finché la contessa non gli
racconta del suo passato: è infelicemente sposata, e
anche se è stata innamorata di un altro uomo di nome Dolski, e il marito, una
volta scoperto l’adulterio, aveva confinato il rivale in Siberia. Natka riesce
poi a raggiunge l’amato Dolski, ma lo scopre con un'altra donna, e delusa fugge.
L’uomo, per senso di colpa, si toglie la vita davanti a lei. Dopo il racconto,
la contessa congeda La Ferlita e sparisce nel nulla per alcuni mesi. Dopo averla
cercata invano, il diplomatico intreccia una relazione con la ricca
Erminia.Ottenuto infine un ultimo appuntamento dalla misteriosa Contessa,
Giorgio si reca da lei in albergo e
la trova gravemente ammalata. Durante la visita, l’edificio prende fuoco a causa
di un corto circuito e
i due, intrappolati nella stanza, chiusa a chiave dal conte, marito della donna,
per gelosia, riusciranno a salvarsi?
Tigre reale è
un romanzo in
diciannove capitoli di Giovanni Verga, pubblicato per la prima volta dall'editore
Brigola a Milano nel 1875. Interessante è
analizzarne l’intreccio per capire come Giovanni Verga sia stato abile ad
adattare il soggetto del suo romanzo al medium del linguaggio cinematografico.
La storia ha elementi di interesse anche per quanto riguarda il suo svolgersi
tra Firenze e la Sicilia. Giorgio La Ferlita, un giovane di carattere
debole e volubile intento a costruirsi una carriera da ambasciatore, conosce a Firenze,
durante un ballo a
itti, Nata, una contessa russa malata
di tubercolosi e ospite a Firenze per consiglio dei medici russi che la
invitavano a prendere aria salubre mediterranea, e ne rimane attratto. Il giorno
stesso in cui la conobbe, per via di un gesto apparentemente sciocco (egli fu
invitato al ballo in sostituzione di un famoso spadaccino), accettò e vinse un
duello. I due iniziano a frequentarsi con assiduità mantenendo però la loro
relazione entro i limiti di una intensa amicizia.
Nata non volle mai sbilanciarsi troppo con Giorgio per via di una forte
delusione precedente, causa tra l'altro della tubercolosi che l'aveva fatta
ammalare, che vide il suicidio dell'amante. La storia viene interrotta
dall'annuncio della partenza di Giorgio per Lisbona e dall'arrivo del marito di
Nata che la raggiunge per riportarla a casa. Nata scrive a Giorgio una lettera e
gli promette che quando sentirà la morte vicina verrà a morire presso di lui e
che nel frattempo vivrà nel suo amore. Trascorso un po' di tempo Giorgio si
sposa con Erminia e durante la festa per celebrare la nascita del suo primo
figlio viene a sapere dal dottor Rendona che Nata è sua ospite ai Bagni di
Acireale e che i suoi giorni sono ormai contati, aggiungendo che tale sua
paziente andrà ad assistere ad una rappresentazione straordinaria al Teatro
Comunale, nonostante le sue gravi condizioni di salute. Giorgio, senza che la
moglie ne sia a conoscenza, riprende a frequentare la contessa malata ma nel
frattempo arriva Carlo, un cugino di Erminia, che un tempo era innamorato della
donna e ne era ricambiato e i due rimangono nuovamente attratti l'un verso
l'altro. Giorgio intanto continua ad assentarsi per andare a trovare la contessa
e Carlo rimane molto vicino a Erminia che in lui trova conforto. Ma una notte il
bambino di Giorgio ed Erminia rischia di morire e Carlo, mentre Giorgio è da
Nata, conforta la cugina. Quando Giorgio fa rientro a casa, si rende conto che
la situazione del figlio stava diventando grave e decide di non allontanarsi più
né dalla moglie né dal piccolo. Giorgio vivrà questo ritorno nel senso di colpa
e di rimorso nei confronti della moglie, ai suoi occhi pura e immeritevole del
torto di un amore extraconiugale. Erminia prega Carlo di partire e dal
dispiacere si ammala. Il medico di famiglia, il medesimo dottor Rendona,
consigliava più volte il ricorso all'aria libera per far riprendere Erminia,
suggerendo la tenuta di Giarre. Tuttavia Giorgio, per evitare in ogni modo
qualsiasi possibile rimpianto di Nata visto che la strada per Giarre passa da
Acireale, trovava mille scuse per evitare il viaggio. Una notte la donna, in
preda ai deliri, confessa al marito di aver amato Carlo; Giorgio sentirà ancora
più rispetto nei confronti della moglie per aver confessato prima di lui, il
quale in lacrime la abbraccia. Al sentire e vedere le lacrime del marito la
donna dice di sentirsi meglio. La crisi di Erminia passa e Giorgio, riunito alla
sua famiglia e sereno, accetta di affrontare un viaggio a Giarre, per chiudere
definitivamente col passato. Tuttavia alla stazione di Acireale il treno tarda
a ripartire e l'uomo si sente crescer l'imbarazzo finché non si rende conto che
sono fermi per via di una processione funebre che sta occupando un altro treno a
loro parallelo, costituito da due sole carrozze: è il trasporto funebre di Nata
che il marito riporta in patria.
«Allorché
il convoglio si fermò a Giarre, gli alzò il capo pallidissimo, guardò al
di fuori, respirò con forza, sembrava si destasse da un lungo e penoso
sonno. Il funebre treno che li precedeva era scomparso; il fumo
svolgevasi ancora lentamente dall'imboccatura della galleria,
aquarciandosi e diradandosi in larghi fiocchi sul cielo azzurro. Non
rimaneva più altro del passato. Quando furono a Giarre, La Ferlita vi
trovò un dispaccio telegrafico che era stato rimandato dall’ufficio di
Catania, e che l’aspettava. Il telegramma non conteneva, oltre
l’indirizzo e la data, che questa sola parola: «Addio.»
Giovanni Verga scrisse anche la sceneggiatura dell'omonimo
film tratto
dalla sua opera che venne
acquistato dall’Itala Film di Torino nel 1912 e venne realizzato soltanto
quattro anni dopo, nel 1916, mentre il regista Giovanni Pastrone, alias Piero
Fosco “vigilò la esecuzione” della messa in scena, operatori Segundo de Chomón e
Giovanni Tomatis,
con
protagonista la diva
fatale:
Pina Menichelli. Viene considerato il secondo episodio di un
“dittico dannunziano” composto da Il fuoco (1915) e Tigre reale,
entrambi diretti da Giovanni Pastrone e interpretati da Pina Menichelli.
Giovanni Pastrone firmò il film con lo pseudonimo di Piero Fosco; per alcuni
anni vennero avanzate diverse ipotesi sulla reale identità del “misterioso”
regista che si celava dietro tale nome d’arte. Distribuito in Francia, Olanda e
Spagna. Venne proiettato ad Amsterdam nel marzo 1917, con un lancio
pubblicitario che poneva l’accento sulla fama di Giovanni Verga; venne
distribuito in Portogallo nel 1919.
Il soggetto, tratto
dal romanzo di Giovanni Verga, fu acquistato dall’Itala Film di Torino nel 1912
e venne realizzato soltanto quattro anni dopo, nel 1916. Sembra che alla
riduzione cinematografica collaborasse lo stesso Verga, mentre Giovanni Pastrone,
alias Piero Fosco “vigilò la esecuzione” della messa in scena, operatori Segundo
de Chomón e Giovanni Tomatis. Per il lancio del film, come nel caso
D’Annunzio/Cabiria, la pubblicità insisteva in ricordare il nome prestigioso di
Giovanni Verga, ma non dimenticava Pina Menichelli reduce del grande successo
commerciale de Il
Fuoco, successo che venne un po’ a meno dopo l’intervento della
censura. Meno male che Pastrone era uno che non si perdeva d’animo facilmente
perché i film di Pina Menichelli incontrarono spesso seri problemi di censura.
Ma cosa avevano di così sconvolgente questi film? Nel caso di Tigre
reale i
tagli di censura riportati da Vittorio Martinelli sono: «Nella parte sesta, in
una delle ultime didascalie, sopprimere le parole: “Sul suo corpo passarono
soffi di convulsione spaventosa, si che le misere ossa par che scricchiolassero”,
nonché le scene che precedono e susseguono detta didascalia e precisamente
quelle nelle quali si vede Natka contorcersi tra le braccia di Giorgio» (Vittorio
Martinelli, Il cinema muto italiano 1916, Bianco e Nero-Nuova Eri 1992).
Nel fascicolo I
giorni di Cabiria citato
sopra si racconta dei due finali di Tigre
reale.
L’adozione di un finale alternativo per le copie
destinate all’esportazione era una pratica diffusa. Nel finale della copia
italiana, Giorgio La Ferlita (Alberto Nepoti), sposa Erminia (Valentina
Frascaroli) e ha un figlio, mentre la contessa Natka (Pina Menichelli) muore in
solitudine dopo un ultimo appuntamento con Giorgio. Nel finale per
l’esportazione, che sui quaderni di descrizione delle parti conservati
nell’archivio del Museo
del Cinema di Torino viene
definito “speciale inglese”, Giorgio non sposa Erminia. Natka chiede un ultimo
appuntamento a Giorgio. Durante l’incontro presso l’hotel dell’Odeon, scoppia un
incendio. Natka e Giorgio vengono chiusi a chiave nella camera dal marito della
contessa. I due riescono a salvarsi, mentre il marito geloso viene dato in pasto
alle fiamme dai capricci di questo finale
alternativo. Copie
sono
conservate presso: Cineteca
Nazionale (Roma); Museo Nazionale del Cinema (Torino); Nederlands Filmmuseum
(Amsterdam).
I nulla osta e alcuni quaderni di produzione relativi al film e alla
produzione dell’Itala Film sono conservati presso il Museo Nazionale del Cinema
di Torino.
Il film è stato proiettato durante la XI edizione del Festival
Internazionale Cinema Giovani (ora Torino Film Festival, 13-20 novembre 1993)
nella sezione Il centenario - Cinema e critica. Gli anni del mutoin una
copia colorata e restaurata dal Museo Nazionale del Cinema di Torino in
collaborazione con la Cineteca del Comune di Bologna. I colori usati
rispecchiano quelli usati abitualmente all’epoca dall’Itala Film e sono arancio,
rosso, giallo, verde, verde speciale, rosa e blu.
Una copia restaurata del film della durata di 80
minuti (35mm, 1.742 metri) è stata proiettata nel 1994 al Festival del Cinema
Ritrovato di Bologna, con didascalie in italiano e accompagnamento al pianoforte
del Maestro Stefano Maccagno (velocità: 18 f/s). Provenienza: Museo Nazionale
del Cinema (Torino).
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