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Consapevolvenze
Poesia. In un percorso poetico che parte dal 1978 (e
ancor prima con l’inedito) e davanti a una nuova raccolta non si può – nel caso
dell’autrice – che affrontare (qui) solo alcune parti, e per la varietà
lessicale e costruttiva e per i significati che, comunque, nascono da un unico
denominatore. In Canzone, ad esempio, viene da ipotizzare un ‘contrasto’
tra i fantasmi dell’immaginazione e la concretezza degli oggetti.
Opposizione
che si riferisce anche alla natura là dove ci appare un intento descrittivo,
eluso però da un’intuizione che consegna alla sua profondità l’essere
quando tenta di dileguarsi: “è acqua ridata al fiore che muore e poi riprende” (Si
fa sera) — tentativo di costituirsi come realtà a sé, spesso destoricizzato,
quando ogni elemento viene ricondotto a quella geografia spirituale che è
propria del poeta. Esiste però il detto e il non detto, la parola trattenuta da
un pudìco riflettersi nello spazio esterno (Giacinti): davvero il
‘tratto’ si gela, a fronte di eventi che creano a proposito quella ‘freddezza’
che vuol farsi difesa.
Dobbiamo dunque collegarci a ciò che non ha parola?
animale o pianta? La scrittura in tal caso si sostanzia dell’inesprimibile,
gesto transeunte ma non inutile, se alla fine si trova il nulla e non si riesce
a esorcizzarlo. Nel Fermoimmagine sta la parte sfuggente, il fluire
verbale: che sarà un giorno delle nostre pagine? Forse il presente si perpetua,
fino a divenire punto infinitesimo e
conclusivo.
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Recensione |
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