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Freinademetz. Il
Santo delle Dolomiti
Saggistica. Ci
sono santi meno noti che pure, alla lettura della loro vicenda umana e
spirituale, suscitano immediatamente simpatia. Uno di questi è Giuseppe
Freinademetz (1852-1908): Giuseppe in ladino è Ujöp. Come si sa il ladino è un
‘dialetto’ neolatino con diramazioni e varianti in precise aree di parlanti e di
scriventi, come risulta da A. Piazza Nicolai. Nato in un maso di Oies, nel
comune di Badia (Bolzano) il Nostro sembra incarnare per i suoi trasferimenti un
punto di incrocio fra diverse culture, scriverà infatti in un italiano ‘incerto’
ma sufficiente a dimostrare il suo animo fidente.
Nel 1878 entra nell’Istituto
dei Padri Verbiti, il cui nome sta a indicare il “Verbo di Dio” e quindi la
relativa diffusione. L’anno seguente si trasferisce in Cina, in un momento non
favorevole alla predicazione della religione cristiana, che verrà osteggiata con
atti violenti e uccisioni. Si sente così vicino al popolo cinese al punto di
assumere i loro costumi e prendere il nome di Fu Shenfu (fu felicità;
shenfu sacerdote). Il periodo peggiore fu quello di fine anni novanta,
quando avvenne la rivolta dei Boxer, poi domata da una spedizione internazionale
che a sua volta produrrà “devastazioni e violenze”. L’anno prima della morte si
ammala di tifo.
Nel 1975 papa Paolo VI lo proclama Beato, e nel 2003 viene
proclamato Santo da Giovanni Paolo II. Si coglie perfettamente il suo sguardo
umile e intriso di bontà nell’incisione in linoleum di H. Oberstaller (1945).
Scrive il Santo: “Io amo la China e i Cinesi e vorrei morire mille volte per
loro”. Una testimonianza che poteva lasciare ai posteri solo chi era destinato
alla santità. Il libro è riccamente illustrato e chiaro nella parte saggistica:
ci ha fatto il dono di conoscere la vita e le opere di una persona
straordinaria.
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Recensione |
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