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illuminillime (2001-2007)

Lucia Gaddo Zanovello nasce a Padova nel 1951 ed esordisce con una ricerca storica su Faedo di Cinto Euganeo (in Città di Padova, anno VIII, n. 1, 1968), ma fin da giovanissima si dedica alla poesia (cfr. il libro-intervista Amata poesia, 2009). Nel 1978 entra a far parte del Gruppo letterario Formica Nera e nello stesso anno pubblica la prima raccolta Porto antico; ne seguiranno molte altre, tra le quali Memodía (Marsilio, 2003).

Non è facile sintetizzare un percorso così ricco e articolato, sebbene vi sia una cifra stilistica che lo unifica; è anzitutto il lessico a costituire l’elemento fondante della sua arte, insieme a una fantasia capace di una logica personale, in cui la parole viene portata al massimo livello di connotazione, sia espressiva che cognitiva; il linguaggio adottato è riconducibile certamente a un retroterra letterario di stampo classico, ma non manca l’inserimento di vocaboli ‘moderni’ come display o guard-rail; ne consegue la tendenza alla scrittura spesso acuminata, sempre limpida, il cui fine sembra essere l’armonia del mondo, anche nei momenti più foschi (A. Mombert): quando fede e natura si compenetrano nasce un assoluto che nel verbo pone la sua immanenza; si veda a conferma questo verso da Vuoti a perdere: ‘e l’occhio smeraldo di bellezza’.

Potrei perfino dire che la sua poesia presenta talora un aspetto ‘minerale’, incorruttibile, ove la metafora arriva al limite del decifrabile senza perdere di significato, ad esempio ‘lapidi dei giorni ottusi’ (Certamen). Altro carattere evidente è la creazione di parole nuove, non propriamente neologismi ma esercizio di un’onomaturgia personale e non di rado irripetibile, il che già si evince dal titolo; le rime, poi, risultano svincolate da un progetto strettamente formale e costituiscono una specie di richiamo fonico, o per ‘inerzia’ allorché si susseguono più volte.

Il volume contiene in appendice un testo di grande interesse; scritto cinque anni or sono, è tuttavia attuale poiché l’iter poetico dell’autrice è coeso ma molteplice nell’esplorare gli infiniti meandri di un organismo linguistico plasmato come materiale da percepire e utilizzare secondo le esigenze dello spirito: nell’autrice davvero la parola creativa si riferisce all’identità intesa nel suo procedere verso un’ideale perfezione; e se la perfezione non è dell’essere umano, la poesia ce la fa intravedere oltre il semplice dato oggettivo.

Recensione
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