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La vicenda umana
di Attilio Mlatsch: una ricostruzione possibile fra ipotesi e verità
Saggistica. Una
biografia sulla base di documenti e a volte di supposizioni, come peraltro la
Storia in senso generale allorché, trascorso del tempo dall’origine dei fatti,
ciò che viene
descritto non è mai esattamente quel che è accaduto: in sostanza, ogni
evento è sé stesso, le successive indagini sono spesso interpretazioni più o
meno vicine alla realtà dell’oggetto esaminato. Ma una parte documentaria può
tuttavia darci indicazioni delle vicende, nel nostro caso di un personaggio
nonno dell’autrice, da lei mai conosciuto.
I dati biografici essenziali:
Trieste, 26 giugno 1895 – Hammerstein (Pomerania) 11 novembre 1944. Come si vede
una vita relativamente breve, stroncata in uno dei momenti decisivi della
seconda guerra mondiale: infatti in dicembre i tedeschi tenteranno una estrema
controffensiva con la battaglia delle Ardenne. Il libro ci dà peraltro una serie
di informazioni da cui si rileva che i soldati italiani catturati o disarmati
dai tedeschi superarono il milione: una parte, nemmeno duecentomila, si diede
alla fuga o evitò l’internamento grazie agli accordi presi al momento della
capitolazione di Roma. Sull’etimo del cognome Mlatsch si possono fare solo
congetture, potendo essere di origine slava o austriaca. Sappiamo che venne
obbligatoriamente in forza delle normative dell’epoca tradotto in Milazzi,
imposizione a ben pensarci risibile, peggio che si volesse tradurre Bach con
Ruscello.
Il Nostro ebbe una rilevante carriera, ancorché arruolato (come
attesta il foglio matricolare dove il nome è riportato Attilius)
nell’esercito dell’Impero austriaco, e nel documento firmato da Armando Diaz e
datato 4 novembre 1923 appare invece col grado di tenente del regio esercito
italiano e meritevole di medaglia di benemerenza quale volontario della
trascorsa grande guerra.
Un capitolo concerne gli anni padovani. A Padova vi è
una “Gentile Signorina”, Marcella Pasini, che insegna a Tramonte: la prima
cartolina che riceve è datata 13 maggio 1923, ma circa un mese dopo il rapporto
fra Attilio e Marcella diviene più affettuoso, ed è inevitabile il matrimonio,
nella chiesa di Santa Sofia. Nel 1928 ad Attilio viene come già detto cambiato
il cognome con decreto prefettizio, e cinque anni dopo deve, per motivi
contingenti, iscriversi al PNF. Tutto sembra andare per il meglio, sennonché
anche l’Italia entra in guerra.
Con lo sfascio dell’esercito italiano lasciato
senza direttive dopo la caduta del fascismo (25 luglio 1943), mentre il Nostro
cerca di comunicare con i superiori, evidentemente per ricevere qualche
direttiva, viene catturato dai tedeschi ed essendosi rifiutato, come la
maggioranza dei militari italiani, di collaborare, finisce nel campo di
concentramento di Hammerstein dove morirà di stenti e di malattia.
La vita, se
tale può dirsi, nei campi è stata descritta da innumerevoli testimonianze, in
effetti luoghi di annientamento fisico e psichico. Di quel campo esiste anche un
inno composto nella primavera del 1944 dal tenente Lugli. Questa in sintesi la
storia di Attilio Mlatsch, parte di una Resistenza per cui anche solo
sopravvivere significava resistere. Ricordarlo è un atto meritorio, specialmente
da parte di chi non lo ha mai conosciuto. Forse il tempo spinge la storia nel
mito, il che ha un’importanza relativa. Ciò che conta è quel che si è
percepito, l’idea che le parole e le immagini riescono a trasmetterci, sia
pure con elementi ricostruiti o con l’immaginazione, che è anch’essa parte
integrante della storia. Ricco e significativo il repertorio fotografico e
documentale.
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Recensione |
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