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Lingua madre

Narrativa. Il dialogo che occupa sostanzialmente una prima parte del volume si svolge tra il Dialetto e la Lingua. Ciò apre un dibattito che sembra non concludersi, avendo ciascuna delle due posizioni le proprie ragioni. In più casi è stato osservato che il dialetto – termine peraltro riduttivo – è una lingua parlata e allorché tenta di venire scritto incontra delle difficoltà di vario tipo, non ultima la grafia.

Ma in Cremona il problema si amplia, allargandosi alla sua scrittura di cui qualcosa tecnicamente è utile dire: il punto che vi appare e dopo il quale non vi è la maiuscola non va considerato mobile secondo le indicazioni del Lombardelli, ma un ridurre a uguale misura, cioè minuscola, tutte le lettere dell’alfabeto. Si intenda: è un’ipotesi.

Trasferendo quindi i complessi principi che informano lo stile, nell’autore si assiste a una linea assai differente da ogni altra praticata. Egli si definisce o viene definito “abitatore della lingua” (in senso lato) e da questa particolare ottica costruisce dall’interno le sue trame narrative dove i luoghi diventano parole e viceversa, con ricorrenze di titoli o personaggi, sempre ‘velati’ dall’area linguistica che li produce.

Un’operazione che dimostra la vastità dell’invenzione e la capacità di adeguarsi a forme nuove. Le ‘traduzioni’ fra dialetto (chioggiotto) e lingua italiana rappresentano una diversità che finisce per divenire concettuale, per esempio: “sognare acqua può avere diversi significati” a fronte di “insoniarse aqua puòle volere dire mondo de ròbe”: a questo punto non rimane che  pensare nelle relative lingue e trarne tutta la ricchezza semantica che esprimono.

Recensione
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