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Nel cristallo
della stella Mizar
Poesia. Elena
Andreevna Schwarz (1948-2010) dà l’impressione di uscire da un luogo quasi
misterioso che si esplica nelle sue poesie fin dai primi tentativi, peraltro
riusciti, di comporre liriche quasi per scelta, ma in realtà per una coincidenza
del destino, come accade perlopiù agli artisti di ogni genere. Se consideriamo
la qualità di un testo qual è Nella cattedrale, scritto nel 1962 da
un’autrice quattordicenne, si dovrebbe pensare che davanti era già tracciata una
via non eludibile. L’osservazione della realtà però necessitava di una sua
trasfigurazione, ecco quindi la vena religiosa, che fa dire “io non credo
in dio”, separando in sostanza l’idea di un dio da quella di una figura storica
o comunque storicizzata.
La bellezza nasce dai versi, ma anche nella commistione
tra momenti di un’inventiva che si ‘adagia’ nella tradizione e poi esplode con
una forza fantastica strabiliante. Non è soltanto l’immagine che ci colpisce, ma
la fantasia che travalica la logica seguendo una logica sua. Perciò la
lettura va eseguita facendo cadere ogni presupposto, per inoltrarsi in quei
territori spirituali – se intendiamo la parola spirito – ove solo lei
domina e risplende. La Schwarz forse non voleva la perdita della sua identità
nel tempo, le mutazioni che del resto sono naturali, ma rimanere come stella
fissa, diciamo la sua Mizar, per cui ci confessa: “Guardo allo specchio –
di nuovo l’aspetto infantile”; dunque poesia come eterna infanzia, là dove sogni
e aspirazioni non decadono nel continuo desiderio dell’essere.
Troppi sono gli
aspetti di questa poetica: la parte stregata (Baba-Jaga è nella tradizione
russa), la luna quale elemento femminile, l’assenza – cos’è quel 7 senza
parole? – e tanto altro. È un rischio sintetizzare tale poetica, ma due versi
eccezionali ne indicano il percorso: “Dio (e la Lepre) mi hanno dato | Un
frammento azzurro di pietra”.
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Recensione |
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