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Neraneve e i
sette cani. Storia di antiche violenze
Poesia. Scrive E.
A. Poe ne Il gatto nero: “nell’amore disinteressato e generoso fino al
sacrificio di un animale c’è qualcosa che scende direttamente nel cuore di colui
che ha avuto spesso occasione di sperimentare la meschina amicizia e la leggera
fedeltà dell’uomo.” Dobbiamo dunque dire che l’uomo ha perduto quella purezza
originaria man mano che cresceva la sua intelligenza? Forse una questione di
carattere, di indole.
Parlando della Maurer non si può derogare dallo stile:
prezioso e ironico, ma sempre pronto a scendere nella verità di ciò che è, per
svelarne l’origine, e un senso che a molti sfugge: è questa la prerogativa del
poeta. Dovremmo ricordare anche quel che scrive l’Ecclesiaste: l’uomo non ha
alcuna superiorità sulla bestia. La fine è uguale per ambedue: proprio in
Ossa di vetro la dimostrazione di una corporeità che poi si dissolve,
evidenziata dal contrasto fra le immagini gigli e sangue. In
questa scrittura non mancano soluzioni di avanguardia (All’uscita dal ballo),
ma costantemente coerenti col punto iniziale, che non viene mai meno.
Neraneve è un poema che unisce la memoria a trascorse esistenze canine, di
ognuna la cifra peculiare, e tale memoria è supportata talora da metafore
definibili come straordinarie, per il loro allontanarsi dall’oggetto principale,
vincolate comunque da una logica secondo cui va ricercata la forza espressiva
della parola, per travalicare la materia e preservare la natura da ogni
possibile corruzione.
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Recensione |
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