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Un uomo qualunque
Teatro. Un atto unico con sei personaggi: la Madre, la
Sorella, la Moglie, la Figlia, l’Amante, Lui. Si direbbero ipostasi di una sola
figura oppure i ruoli fondamentali concernenti una famiglia o uno stato sociale.
Questo per ciò che riguarda la trama, che in effetti si basa più sul fattore
dialogico anziché evolutivo.
Il modello, come peraltro osserva E. Rebecchi nella
postfazione, si dispone in una dimensione classica, coi suoi anfratti mitologici
e la commistione tra quel che è possibile e le ipotesi. Ciascun personaggio alla
fine rivendica qualcosa o muove rimproveri, poiché ad ognuno è venuto a mancare
un elemento che fosse in grado di realizzare completamente l’identità personale.
A tale proposito ci illumina il rapporto tra madre e figlio: se da un lato la
madre non significa esempio assoluto, dall’altro il figlio non è stato
riconoscente. Un gioco forse illusorio o terribile di specchi tra il
sentimentale e l’egoistico. Alla fine però, secondo la miglior tradizione,
domina il fato: si è come si deve essere. La tragica conclusione
fa piombare lo scenario nell’oscurità.
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Recensione |
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