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L’inesorabile trascorrere del tempo, la nostalgia di
momenti senza ritorno, la vita che fugge (“Quando i colori del cielo | mi
propongono echi della mia giovinezza, | io odio i miei anni e le rughe | che mi
hanno imbruttito”), la malinconia tanto più struggente quanto più si è amata la
vita che ha lasciato soltanto l’amaro sapore delle cose perdute (“arie, motivi
antichi | d’altri tempi miei, d’altri luoghi | quando s’accendevano aurore
| nel
fuoco del sole”), l’inevitabilità della morte, sono i temi ricorrenti nella
poesia del D’Agata.
Il paesaggio inizialmente pervaso di luce,
lentamente si vela di tenebre, fino a diventare un “sogno” o una “leggenda” e la
sua “storia” si confonde con quella degli antenati “i cui ritratti pendono
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alle pareti della mia casa | immersa in un’atmosfera crepuscolare | che si fa
sempre più scura: | il gusto amaro della decadenza”. Elementi di una sensibilità
tardo-ottocentesca, ma anche elementi di oggi, elementi di sempre nel continuo
ripetitivo alternarsi e rinnovarsi delle emozioni e dei sentimenti umani.
Non mancano
nella poesia di Pietro D’Agata anche i temi propri del nostro Meridione,
sfortunato ed emarginato, che soffre in silenzio, rassegnato. | |
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Recensione |
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