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Gli Arcadi, i guerrieri, i liberali nel Castello Sannazzaro di Giarole

Erano i primi anni '70 quando prendevo ad Alessandria il trenino per Casale Monferrato, per scendere a Giarole dove abitava la dolce ma volitiva Erminia, poi diventata mia moglie. Uscendo dalla piccola stazione di Giarole, e percorrendo il lungo rettilineo che conduce al centro del paese, già dal primissimo sbarco mi colpiva, sulla sinistra del viale, la presenza di un castello di elegante fattura ma solido, di non facile lettura architettonica, lontanissimo dalla possanza rupestre dei castelli matildici del mio appennino reggiano.

Mi chiedevo come una struttura simile fosse compatibile con un paesino di sole 700 anime. “E' il castello dei conti Sannazzaro”, mi spiegava Erminia. “Sannazzaro, come Jacopo Sannazaro?”, chiedevo. Nessuno sapeva, a Giarole, dell'esistenza pregressa di Jacopo. La parentela fra il castello e l'umanista che avevo studiato al liceo rimaneva una mia affettuosa congettura personale.

Fino a quando mi è capitato di leggere il libro di un attuale appartenente alla famiglia, Giuseppe Sannazzaro Natta di Giarole: De Sancto Nazario, mille anni di una famiglia fra arte, libertà e territorio, Gammarò Edizioni, Collana “Famiglie storiche d'Italia” diretta da Giorgio Federico Siboni, 2015.

In seconda di copertina la foto dell'autore, Conte Giuseppe attuale proprietario del castello. E' quello che si dice un bell'uomo, elegante di tratti e olimpico di portamento, tutto ciò che il sentire popolare attribuisce tuttora ai possessori di un titolo nobiliare.

E' anche vero che, nel corso di mille anni di storia, alcuni Sannazzaro sembra abbiano avuto comportamenti alquanto spregiudicati, tanto da attribuire alla famiglia la fama di attaccabrighe. Il libro è corredato dagli alberi genealogici della casata, compilati da Francesco Guasco Marchese di Bisio, pubblicati nel 1945 dal figlio Emilio. Ricordo che al Ginnasio, di fronte alle vischiose lezioni intorno alle Bucoliche di Virgilio impartite dalla Prof, mi dedicavo sotto il banco a letture più interessanti: La Gazzatta dello Sport e Il diario di Anna Frank. Scoprivo così che la riflessiva ragazzina ebrea, nel suo rifugio olandese, ingannava il tempo compilando l'albero genealogico delle famiglie regnanti d'Europa. Mi commuoveva il fatto che la ragazzina, così prossima al termine della propria vita, fosse tanto interessata a comporre, in lungo e in largo, la storia altrui.

Al tempo, per imitazione, mi dedicavo alla compilazione dell'albero di famiglie storiche, gli Altavilla e i Borbone. Senza portare a termine né l'una né l'altra, ovviamente. Però l'interesse alla genealogia mi è rimasto. Ho così consultato con grande interesse le schede di Emilio Guasco relative ai Sannazzaro; ove mi sono imbattuto nel Conte Alessandro, valoroso combattente ferito di moschetto dagli Spagnoli a Rosignano, 1640: “di spirito bellicoso e sfrontato, come quasi tutti i Sannazzaro”. L'attuale Conte Giuseppe, con elegante annotazione personale, prende doverosamente le distanze dalle stimmate caratteriali attribuite dal Marchese Guasco alla famiglia.

Le tavole genealogiche allegate sono stese a partire dal XV secolo. Le notizie antecedenti relative alla famiglia sono nebulose o addirittura leggenda. Da bravo poeta, è appunto Jacopo Sannazaro a confezionare la più suggestiva. La famiglia trarrebbe origine dal Santo Nazzaro, martire cristiano del I secolo, di possibile origine africana. La grafia del nome sarebbe mutata in Sannazzaro, dalla località del primo insediamento accertato della famiglia. Fatto è che la località in questione, oggi Sannazzaro de' Burgondi (Pavia), giustificherebbe al contrario l'origine borgognona della famiglia.

L'attuale Conte Giuseppe Sannazzaro Natta di Giarole, d'ora in poi semplicemente Giuseppe per non cadere in piaggeria, riferisce questa ed altre ipotesi d'origine con distacco quasi divertito. Aggiungendo, da parte sua, l'immaginaria origine del ramo cui appartiene (Sannazzaro Natta) al leggendario e sacerdotale Numa Pompilio, secondo re di Roma. Gli storici sono giustamente onnivori riguardo alle notizie cui fanno riferimento: prove documentali e leggende rivestono pari dignità.

Del resto, i documenti ufficiali relativi al Medioevo sono spesso avventurosi. Il nostro Giuseppe attinge all'Archivio Sannazzaro, raccolto a Giarole nel '900. Si tratta di un archivio ricchissimo, ordinato in maniera certosina per materie, che rispecchia l'abito mentale della famiglia ugualmente dispiegata nel tempo su interessi di natura militare, politica, letteraria e musicale. L'Archivio conserva il Diploma (Pavia, dicembre 1163) in cui l'Imperatore Federico Barbarossa autorizza i milites De Sancto Nazario piena potestà di costruire castelli dovunque volessero nel loro territorio.

Il documento cita i quattro Cavalieri: Guido, Burgondio, Assalito e Raineri. Il nostro Autore corregge, attingendo a fonti tedesche (Monumenta Germaniae Historica, vol II, 1979): Wido (Guido) qui vocor Burgundius. I cavalieri Da Sancto Nazario non sono quattro, ma tre. Nel Castello Sannazzaro di Giarole un affresco raffigura l'imperatore Federico, spadone in mano e quasi familiarmente seduto, nell'atto di conferire ai fratelli Sannazzaro la concessione imperiale. L'affresco risale al 1856, eseguito da Paolo Emilio Margari, pittore evidentemente affezionato alla lezione di Mantegna: l'affresco è monocromatico, il tempo è fermo, l'effetto complessivo è quello, solenne, della scultura.

I fratelli Sannazzaro , investiti feudatari, si affaccendano in opere militari a favore dell'Impero e in politiche domestiche, anche di natura matrimoniale, a favore di loro stessi, dando origina ai diversi rami della famiglia, che aggiungeranno al patronimico l'appellativo del feudo principale di appartenenza: Sannazzaro di Assalito, dei Burgondi, di Cicognola, di Ferrara, di Pavia, di Nazzano, ed altri.

I Sannazzaro di Giarole fanno capo al fondatore effettivo del Castello, definito quondam Corradino, incertamente accreditato come figlio di Guido, oppure più verosimilmente come figlio di Raineri, quello appunto del diploma del 1163. Il passaggio da Raineri a Corradino pone per la verità qualche problema di natura biologica: documenti alla mano, Raineri avrebbe avuto Corradino ad una età di 55/60 anni. Giuseppe Sannazzaro annota, con l'aria dire: cosa vuoi che sia. E comunque, per successive ramificazioni, i Sannazzaro approdano al 1500, quando i documenti si fanno circostanziati, e attestano la condizione nobiliare ancora presente in tre delle sue linee: la lombarda, la napoletana, la monferrina.

I Sannazzaro di Lombardia hanno feudi nell'Oltrepò Pavese. Non hanno preveggenza politica: si alleano con i della Torre contro i Visconti di Milano. Sconfitti i della Torre, i Visconti fanno piazza pulita dei rivali e dei loro alleati, cui tolgono di fatto l'indipendenza. I Sannazzaro diventano, obtorto collo, alleati dei Visconti, ma non è la stessa cosa. Da allora in poi il ramo lombardo appare soprattutto versato in attività che, comparate ai tempi, possono chiamarsi imprenditoriali.

Gli ultimi rappresentanti sarebbero Don Giacomo (seconda metà del '700, prestigioso collezionista d'arte a Milano), e il fratello di lui Don Luigi, la cui figlia fondò una delle prime filature di cotone a Legnano. Contrariamente ai guerreschi cugini del Monferrato, i lombardi sembrano meno inclini alla proliferazione; oppure, quando lo fanno, preferiscono avere figliolanza di sesso femminile. Con Don Giacomo e Don Luigi il ramo si estingue.

Al ramo napoletano appartiene Jacopo Sannazaro, umanista e poeta, gloria della famiglia. Per la verità Jacopo inventa per sé una lontana ascendenza spagnola: il ramo napoletano dei Sannazzaro sarebbe in realtà spagnolo, con Napoli raggiunta di seconda intenzione. Con gli Argonesi sul trono, una ascendenza spagnola tornava utile. L'Arcadia di Jacopo inaugurò il filone umanistico della nostra letteratura, ed ebbe una enorme diffusione (trentotto edizioni nel solo Cinquecento), nonostante il carattere anacronistico delle tematiche politiche trattate. L'opera sarebbe stata, in realtà, una allegoria della vita alla corte aragonese, che nel primo Cinquecento era già faccenda appartenente a un mondo lontano. E' possibile sostenere che l'opera abbia avuto successo appunto a ragione del suo carattere anacronistico: il ritiro pastorale in Arcadia era allora, e in seguito sarà sempre, espressione di fuga immaginaria da un mondo abbruttito da miserie etiche e sociali. In forma non letteraria, l'espressione attuale dell'Arcadia è rappresentata dai conati ecologisti: il mondo è surriscaldato, prossimo all'incendio tossico, torniamo alla sana vita campestre, ai prodotti a chilometro zero, alle salutari pale eoliche. Le quali a Jacopo, esteta, sarebbero piaciute come più tardi piacquero a Cervantes i mulini a vento.

A Jacopo piacciono invece le donne: la sua relazione con Cassandra Marchese fu un autentico gossip dell'epoca. Platonicamente o di fatto, i nostri letterati hanno sempre frequentato le donne altrui: Cassandra era coniugata a certo Alfonso Castriota, che la ripudiò verosimilmente a ragione del gossip sentimentale con Jacopo. Il quale, nonostante l'impegno profuso in campo sentimentale e poetico, si spese inoltre come uomo politico a servizio degli Aragonesi. Federico II, a compenso dei servizi ricevuti, donò a Jacopo una villa a Margellina.

Nel Castello di Giarole fa mostra di sé la foto di una vecchia incisione: Federico II d'Aragona visita Jacopo Sannazzaro. Il poeta ha veste paludata, e parla; il re, seduto con lunga spada a fianco, ascolta. Non è Jacopo a fare visita al re, è il re che rende omaggio a Jacopo facendogli visita. Quando re Federico, nel 1501, perse il trono e andò in esilio in Francia, l'arcade Jacopo diede prova della sua tempra seguendolo in esilio, ove rimase fino alla morte di lui, nel 1504. I Sannazzaro, a qualunque ramo siano appartenuti, hanno questa insolita caratteristica: non tradiscono.

Occupato fra poesia, contrasti d'amore e travagli politici, Jacopo non si sposò e non ebbe figli. Lasciò il patrimonio ai Servi di Maria. Con lui il ramo napoletano della famiglia si estinse.

Contrariamente al mercantile ramo lombardo, e a quello poetico napoletano, il ramo monferrino continua ad essere prolifico nei secoli, tanto da occupare tuttora il Castello avito di Giarole. Vale la pena ricordare come il ramo monferrino della famiglia abbia avuto, rispetto ai rami consanguinei, fin dall'origine maggiori attitudini guerresche. “Non fate la guerra, fate l'amore” era la frase dei figli dei fiori. La frase era scritta a caratteri giganteschi, di vernice nera, sulla facciata di una scuola di Reggio Emilia. Gli studenti simpatizzavano per i figli dei fiori, però entravano a scuola tutti ordinatini, quando ancora un Preside aveva prestigio e autorità sufficiente per vietare l'ingresso ai ragazzi che non fossero vestiti in modo acconcio. Prescindendo dai miei personali ricordi liceali, “non fate la guerra fate l'amore” è frase che non ha senso antropologico: l'aggressività permette la permanenza in vita nel presente, la sessualità permette la trasmissione della vita. Aggressività e sessualità sono pulsioni ugualmente indispensabili e correlate fra loro: ed è per questa ragione che gli aggressivi sono solitamente più prolifici dei mercanti, e dei poeti. I Sannazzaro, ramo Monferrato, erano feudatari dell'Impero, legati all'obbligo di fedeltà verso gli Imperatori che si susseguivano nella lotta contro la Chiesa. Erano guerrieri, insomma, e come tali obbligati ad essere aggressivi, ovvero prolifici

Esaurita la lotta fra Impero e Chiesa, i Sannazzaro rimangono feudatari, però ripiegando sulla circoscritta realtà politica locale. Nel periodo della decadenza, i feudatari di Giarole non combattono più contro la Chiesa di Roma; combattono a volte, più modestamente, contro la piccola Chiesa di Giarole. La ricercatrice Maria Luisa De Regibus Opezzo, che aveva avuto accesso ai documenti parrocchiali del paese, ha pubblicato nel 1996 le Memorie antiche del luogo di Giarole (tipi della S.E, Tip. Offset, Vercelli). Leggendo il libro, ricordo di aver trovato una vicenda che per epoca (il '600) e contenzioso in atto (il feudatario che si oppone al matrimonio di una campagnola) ricorda tale e quale la storia manzoniana di Renzo e Lucia. Stai a vedere, avevo detto fra me, che prima di Maria Luisa è stato Alessandro Manzoni ad aver accesso agli archivi della parrocchia. Mi piace associare la vicenda al Conte Vincenzo Filippo; del quale il nostro Giuseppe, da storico imparziale, scrive: […] era un incapace che pensava solo a rincorrere cameriere, contadine e donnine e a giocare il suo patrimonio a carte e a dadi “con gente di bassa condizione”. Vincenzo Filippo pose a forte rischio il patrimonio, ma la famiglia seppe risollevarsi.

Ciò che caratterizza la dinastia Sannazzaro è la forte coesione familiare. Non si hanno notizie di lotte intestine legate al patrimonio. Diversamente dalle usanze nobiliari, che distinguevano fra primogenito, cui spettavano il titolo e i beni, dai cadetti avviati alla carriera militare, i Sannazzaro mettevano tutti d'accordo attribuendo il titolo di Conte e una quota di patrimonio a tutta la figliolanza. E' da dire che, nonostante questa saggia consuetudine, alcuni Sannazzaro preferirono seguire l'indole combattiva militando nelle guerre dell'epoca principalmente schierati nelle file dei Cavalieri di Malta. Il cadetto Giacomo, Cavaliere Gerosolimitano, nel '600 si distinse all'assedio di Centa, ove tolse ai Turchi varie bandiere e ricevette in premio una Commenda dell'Ordine: una specie di eroe della Cristianità.

Altra caratteristica della famiglia è stata, nel proseguire dei tempi, il senso della misura nell'agire politico. Consapevoli di come il feudo monferrino avesse ridotte dimensioni e forza militare, i Conti Sannazzaro ripiegarono saggiamente sulla politica locale, via via abbandonando la pratica militare a favore di due attitudini che divennero proprie della famiglia: la capacità gestionale e amministrativa dei propri beni, e l'investimento in produttivi interessi culturali ed artistici.

La massima espressione di queste qualità interviene con Giovanni Battista, 4° Conte di Giarole, nato nel 1768. Il nostro Giuseppe lo definisce il primo vero liberale della famiglia, e mostra per lui una ammirazione incondizionata: […] uso l'espressione “liberale” nel senso moderno del termine, cioè nel significato che a questa parola diedero i fondatori del pensiero liberale nel mondo anglosassone proprio in questo periodo. Essere liberale in una famiglia aristocratica piemontese tra fine Sette e inizio Ottocento era meno banale di quanto oggi possa sembrare, ragionando alla luce del successo che il pensiero liberale ebbe nella generazione successiva con Cavour e d'Azeglio. Infatti nel periodo che va dalla Rivoluzione Francese alla Restaurazione, le famiglie dell'aristocrazia piemontese, legate al re erano sicuramente conservatrici nel tentativo e nella speranza di mantenere o riacquistare i privilegi persi alla caduta del feudalesimo nel 1796. Essere liberale per il nostro conte Giovanni Battista voleva dire essere tollerante e rispettoso delle idee altrui anche quando erano portatrici di un mondo molto diverso da quello in cui era nato, cresciuto e in cui viveva. Rispettare la diversità e trarne interesse e curiosità pur sempre nella tradizione e nella convinzione delle proprie origini, della propria Storia, della propria cultura e del ruolo del Cristianesimo.

Giovanni Battista fu di idee sicuramente troppo liberali rispetto ai tempi e al luogo, tanto da assaggiare le carceri sabaude nel 1797, per poi tornare nei ranghi dopo la Restaurazione: chi è liberale è rispettoso degli altri, ed anche pragmaticamente rispettoso di sé, un liberale morto non serve a nessuno. Giovanni Battista muore nel 1822 lasciando una grande fortuna ai figli, per le sue felici scelte amministrative e per avere intestato e vinto la causa per l'eredità dei Natta d'Alfano, con annesso accorpamento di diversi terreni alla tenuta di Giarole. Giovanni Battista fu il primo ad assumere il doppio cognome Sannazzaro Natta. Ugualmente preziosa la sua eredità culturale: arricchì la biblioteca di famiglia con edizioni di pregio, in primis naturalmente l'Enciclopedia di Diderot e D'Alambert e opere edite da Bodoni; fu autore di poesie di leggerezza metastasiana, tanto per dire che stava al passo coi tempi; appassionato di musica e a tempo perso compositore, tenne in Castello concerti di musica da camera per l'aristocrazia locale e casalese; continuò l'interesse familiare per le arti figurative con commissioni di tappezzerie e sovrapporte neoclassiche tuttora presenti nel Castello.

Meno imperioso, ma ugualmente notevole è suo figlio Giacinto, 5° Conte di Giarole, che fu letterato prolifico e prolisso: la definizione è del nostro Giuseppe, che sembra nutrire per lui qualche riserva di simpatia. Siamo ormai prossimi all'unità d'Italia, Giacinto nel 1846 fu gentiluomo di corte di Carlo Alberto, nel '59 ospitò a Giarole Vittorio Emanuele II e Napoleone III che si affacciarono al balcone del Castello per salutare i Giarolesi accorsi a salutare gli artefici della Guerra d'Indipendenza; nel corso della quale ospitò al Castello lo stato maggiore del generale Pes di Villamarina, utilizzando allo scopo la camera da letto della giovane contessa sua moglie. Pes di Villamarina scriverà dal fronte giorni dopo, con cavalleria militare scusandosi per l'incomodo arrecato, però la guerra è guerra.

Personalmente, il Conte Giacinto a me è molto simpatico: diede alle stampe la traduzione in versi delle Satire di Giovenale, a testimonianza della sua vis polemica (che ha tramandato, pressoché intatta, ai suoi discendenti, ammette Giuseppe. Stai a vedere che Francesco Guasco Marchese di Bisio qualche ragione ce l'aveva). La simpatia che nutro per Giacinto deriva dal mio amore, professionalmente coltivato, per le ambivalenze: Giacinto era un acceso moralista, e nello stesso tempo componeva poesie “audaci”; era Campione della Fede e della Tradizione, ma schiaffeggiava in pubblico l'addetto all'accensione delle luci del Teatro perché aveva fatto tardi. Insomma, un tipo di personalità perfettamente attuale. Fu il campione, chiosa Giuseppe Sannazzaro, di un mondo che stava già sparendo: quello dei gentiluomini di campagna di una nobiltà di provincia legata alla terra, al suo territorio e alla cultura, ma lontana dagli affari, dalla politica e dai problemi della vita moderna.

Degli ultimi Sannazzaro l'Autore parla, da personaggio direttamente coinvolto, con doverosa discrezione e distacco emotivo. I piemontesi sono fatti così: quando il sentimento tracima, indossano l'impermeabile. Così difeso, Giuseppe ricorda papà Ranieri (1921-2002), ufficiale degli alpini durante la seconda guerra mondiale.

Dopo l'8 settembre , Ranieri rifiutò di aderire alla Repubblica di Salò, fu catturato dai Tedeschi e deportato per due anni in diversi campi di prigionia in Germania e in Polonia. Ranieri fu fra gli ultimi ufficiali ad essere liberato, a fine agosto del '45, per raggiungere Milano su vagone merci dopo un viaggio di serre giorni e sette notti.

L'ufficiale Ranieri mantenne fede allo stile di famiglia: accettò la prigionia per non tradire il suo re. I Sannazzaro sono, nei secoli, fedeli e schierati cavallerescamente dalla parte dell'ordine costituito. Furono alleati dell'Impero contro i Comuni (cum detrimento rerum et periculo personarum, come già dice il famoso diploma del Barbarossa), dei della Torre contro i Visconti a Milano (cum magno detrimento rerum, abbiamo visto), dei Paleologo contro i Gonzaga, dei Gonzaga contro i Savoia, dei Savoia contro i Francesi di Napoleone, dei Savoia contro la Repubblica nel secolo scorso. Fedeli all'ordine, mi riesce difficile immaginare quale possa essere, oggi, il loro schieramento.

A conclusione dell'excursus storico, il nostro Autore fornisce la descrizione del Castello così come oggi ci appare, con annesso giardino all'inglese (23.000 mq) che lo circonda. Straordinaria è la pignoleria descrittiva riferita agli arredamenti: […] Nel restauro del 1854, Giacinto profuse il suo massimo impegno nella parte decorativa, soprattutto dell'ala ovest. Trasformò l'ingresso in una immensa sala neogotica che riecheggiasse le sale d'armi dei romanzi alla Walter Scott, distruggendo un grande camino dove la popolazione poteva rifugiarsi e aspettare di essere ricevuta dal Signore per essere giudicata o per ottenere giustizia e dove probabilmente i viandanti potevano trovare riparo per la notte. L'effetto neogotico di questa stanza è fortemente accentuato dall'uso sorprendente dei coloro rosa antico e grigio, dai finti trofei di armi e soprattutto dal grande affresco della parete verso sud che raffigura i 4 “miles de Sancto Nazario” in abiti e corazze da guerrieri medioevali, che ricevono dal Barbarossa il diploma del 1163. La tecnica usata dal pittore, l'artista torinese Paolo Emilio Morgari, fu quella dell'encausto utilizzata con l'obiettivo, pienamente centrato, di dare la sensazione di un gruppo scultoreo in alto rilievo posto all'interno di una nicchia. Paolo Emilio Morgari, che aveva lavorato più o meno in quel periodo alla corte Sabauda, completa la sua opera a 'trompe l'oeil' con un finto loggiato gotico di sapore inglesizzante lungo lo scalone. Al piano superiore, invece, il gotico stempera i suoi colori e le sue linee in un neo-rinascimento che raggiunge la sua massima espressione nella sala da ballo, dove le glorie d'Italia da Dante a Michelangelo, da Petrarca a Raffaello, da Vittorio Alfieri a Jacopo Sannazaro fanno da contorno all'allegoria della Pace, dell'Abbondanza e della vita agreste. Per questo motivo il titolo di questo affresco è: “la Pace genera l'Abbondanza che incorona le Arti”. Titolo e soggetto che in qualche modo riecheggiano l'affresco dipinto da Pier Francesco Guala nel 1730 circa a palazzo Sannazzaro, anche in questo caso nel salone da ballo, che si intitola “Le arti rendono omaggio alla Pace” […]. Il nostro Giuseppe è un esteta, si capisce benissimo. Con qualche venatura gotica, riferita alle tappezzerie che arredano le camere da letto tutt'intorno: […] Il gruppo centrale è frutto dell'opera di un pittore torinese della famiglia Grosso che cadde morendo mentre stava affrescando. La leggenda vuole che il suo fantasma ancora aleggi nelle sale superiori del castello, non avendo terminato il lavoro iniziato […] Non esiste castello che si rispetti che non sia fornito di fantasma. A Giarole, quando da fidanzato guardavo il Castello, Emy mi spiegava: “Dicono che c'è un fantasma, là dentro”. Riferiva la cosa con molta naturalezza.

E infine: […] Alla morte di Giacinto nel 1879, il castello rimane sostanzialmente “congelato” nella sua interezza. Nel Novecento infatti poco, pochissimo, cambierà: l'impianto elettrico e quello di riscaldamento, il trasferimento delle cucine dal piano dei fondi al piano terra negli anni sessanta, altre piccole modifiche per migliorarne la funzionalità, qualche variazione dell'arredamento, prima con l'aggiunta di alcuni mobili provenienti dal palazzo di famiglia a Casale e poi con un certo depauperamento dovuto ai furti e alle divisioni famigliari. Tutto sommato mi sento di dire che Giarole è fermo quasi all'epoca di Cavour. Oggi il castello di Giarole è ancora la dimora della famiglia e, aperto al pubblico, ospita anche un'attività turistica […]

Bad and Breakfast, spiega internet alla voce “Castello Sannazzaro”. Esaurite le qualità militari con papà Ranieri, il figlio Giuseppe mantiene dunque vive le altre attitudini familiari: quella imprenditoriale, e quella dell'impegno in campo artistico e letterario. A giudicare dal libro che ho fra le mani, Giuseppe scrive molto bene: ha un dettato sicuro ed esaustivo, non da letterato ma da storico. Che poi sarebbe una distinzione senza senso: non è un caso se, dalla Grecia classica a tutto il Rinascimento, i testi in prosa che usiamo frequentare sono soprattutto quelli scritti dagli storici.

Mi propongo di approfittare, prima o poi, di una qualche visita nostalgica di Emy al paese natio per farmi avventore del Bad and Breakfast di Giarole. Mi auguro non si aggiri il famoso fantasma del pittore, ovvero che nessuno me ne parli. Chiederò invece di vedere l'affresco di Barbarossa coi milites de Sancto Nazario, fingendo ignoranza per farmi raccontare la storia della concessione di Pavia, 1163. Chiederò, soprattutto, di vedere l'incisione: Federico II d'Aragona visita Jacopo Sannazaro. Il poeta ha veste paludata, e recita al re un passo dell'Arcadia:

Già per li boschi i vaghi uccelli fannosi
i dolci nidi, e d'alti monti cascano
le nevi, che pel sol tutte disfannosi.
E par che i fiori per le valli nascano,
et ogni ramo abbia le foglie tenere,
e i puri agnelli per l'erbette pascano.

La natura dell'Arcadia, come la pittura di Henri Rousseau, è una cosa placida e gonfia, fittizia e lucida come da cartolina illustrata. E' precisamente per questo che Rousseau il doganiere, e Jacopo Sannazaro, ci incantano ancora.

Bibliografia

– Antologia della poesia italiana, a cura di Cesare Segre e Carlo Ossola, vol. II, La Biblioteca di Repubblica, 2004

– De Regibus Opezzo, Maria Luisa, Memorie antiche del luogo di Giarole, tipi della S.E. Tip. Offset, Vercelli, 1996.

– Guasco, Emilio, Tavole genealogiche – i (di) Sannazzaro e Sannazzaro Natta, Casale, tipografia Bellatore, Bosco e figli, 1945.

– Monumenta Germaniae Historica, http://www.mgh.de/dmgh/

– Sanazzaro Natta di Giarole, Giuseppe, De Sancto Nazario, mille anni di una famiglia tra arte, libertà e territorio, collana Famiglie storiche d'Italia diretta da Giorgio Federico Siboni, Gammarò edizioni, 2015.

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