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L'anima e il lago
È datato ottobre 2010 l’ennesimo
capolavoro della poetessa, scrittrice e saggista, originaria di Piacenza e
tuttora residente a Gallarate (Va), Giorgina Busca Gernetti, un poemetto di
tredici liriche dal titolo molto emblematico e, al tempo stesso, compiutamente
evocativo, L’anima e il lago, come a voler ricordare e ricordarci
che il suo animo, il suo cuore è rimasto in fondo ad un lago, al lago del
dolore.
Se, infatti, da sempre esiste
un’acclarata tradizione letteraria che individua proprio nella fisicità del lago
la simbologia palese di un evento, di straordinaria portata, che sta per
accadere, in questa sua opera l’Autrice ne dà esplicita testimonianza, in quanto
protagonista di primo piano di una tragedia familiare che ne ha segnato l’intero
percorso di vita e di spiritualità.
Tutti noi possiamo riconoscerci
in questo significativo itinerario esistenziale che, ad un tratto ed in modo del
tutto inatteso, ci scaraventa in un vortice di abissale disperazione che ci
porta, inevitabilmente, a rileggere l’intera nostra esistenza scritta
all’inizio, magari, su righe inviolate, chiare e che in seguito sono costrette
ad accettare l’impatto con una realtà che si rivela dai contorni più spietati,
forse prima nemmeno vissuta (paradossalmente).
È il caso della nostra autrice
Busca Gernetti la quale, in ultima analisi, si ritrova a vivere a posteriori
un agghiacciante dramma familiare, verificatosi prima della sua nascita: la
morte in guerra a soli trent’anni del padre Giorgio. Una vicenda della quale la
stessa avrà sentito parlare migliaia di volte, al punto tale che arriva a
fondere, nel corso del tempo, il suo dramma umano con i fenomeni atmosferici.
Nella sua attuale e puntuale
descrizione l’esplosione di una battaglia appare un tutt’uno con lampi, tuoni,
vortici di acque torbide ed infernali, dai cui abissi riemergono spettri, ferite
lancinanti, quesiti assordanti ed impietosi ai quali la poetessa non riesce e
non riuscirà mai a dare risposte logiche o di supporto; un supporto che poi
servirebbe a lenire l’atroce dolore solo per pochi, pochissimi istanti di quella
sua psiche totalmente condizionata da una perdita che ha lasciato un vuoto
incolmabile, che nessun’altra figura affettiva sarà mai in grado di rimpiazzare,
pur adottando tutte le strategie emotive in suo possesso, per ridare un sorriso
a quel volto consumato dall’ineluttabile decorso di un tempo che batte sempre la
stessa ora, le stesse note...
Chissà, forse quelle del lago...
“Muto il futuro, impenetrabile! | Scaglia le rune nel lago | oscuro di morte?” (Le
rune). Inoltre sembra che tutto il paesaggio circostante l’avvolga nella sua
calda coltre di ricordi... “Bruna l’aria, nere le vette | dei colli, dei monti
che cingono | il lago sempre più scuro” (Tramonto sul lago in inverno) e
per concludere... “Non odo più stormire | le verdi fronde amiche | di musica
frementi | nell’odorato viale” (Non odo più). Vorrei sottolineare
l’infinito rimpianto di non aver mai potuto assaporare l’armonia del Creato, di
quel Creato che, prematuramente, le aveva sottratto i balocchi ed i profumi più
preziosi!
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Recensione |
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