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Recensione di Aldo Onorati a Quel che resta del tempo di Daniela
Quieti, pubblicata sul settimanale “Le Città”, 11 luglio 2013, pag.15.
Quel
che resta del tempo
Ieri, oggi e domani degli Abruzzi forti e gentili sotto la lente delicata e profonda di Daniela Quieti
Il poeta Aldo Forbice ci viene in aiuto con la sua prefazione a Quel
che resta del tempo (di Daniela Quieti, ed. Ibiskos-Ulivieri) scrivendo che “i
particolari, la microstoria, talvolta agiscono più della narrazione dei grandi
eventi”. Ed è talmente vero, che la ricostruzione di antiche civiltà (diciamo la
greca e la romana, ad esempio) vengono fuori più dalle pagine degli scrittori
che da quelle talvolta fredde dei cosiddetti storici.
Ma io voglio portare avanti alcune considerazioni inerenti non solo il
presente testo della Quieti (poetessa e saggista), ma scaturite dal parallelo
tra questo libro e un altro della stessa, che ebbi il piacere di leggere in
bozze e prefare (Francis Bacon: la visione del futuro). Ieri, oggi e domani,
d’una terra italiana quale gli Abruzzi forti e gentili, sono messi sotto un
riflettore ad ampio raggio, ma sembra di poter traslocare ad ogni regione della
penisola le atmosfere che Daniela Quieti suscita coi personaggi (D’Annunzio, nel
suo caso), le storie, i santi (bellissime pagine su Antonio Abate, vissuto ben
106 anni, dal 250 al 356 d.C.), i panorami e soprattutto il richiamo costante,
talvolta velato, altre dichiaratamente imperativo, all’ecologia della mente e
dei luoghi.
Voglio dire che la Quieti scrive non solo per ricordare, ma per
“fermare” il tempo in una logica che dovremmo ritrovare per imporla al nostro
presente. Ed ecco il parallelo con il saggio sul padre della scienza moderna
Bacone. In entrambe le visuali (Quel che resta del tempo”, titolo emblematico,
quasi malinconico e ammonitore) e l’indagine sul pensiero lungimirante di
Francis Bacon, a me sembra di notare, talvolta fra le righe, un’attenzione a che
gli eccessi della tecnologia non falsino la vita nella sua delicatissima armonia
formatasi in miliardi di anni sul pianeta azzurro. Bacone indicava una via
mediana fra il potere della scienza e il dovere, da parte degli uomini, di
servire la natura: il solo modo di dominarla; Daniela Quieti si rifà al passato
per parlare del presente, per ridare ad esso l’unità affascinante e misteriosa
che univa uomini e fantasia in un’unica liturgia: quella della saggezza (che
pure gli orientali stanno perdendo, per correre dietro all’illusione di desideri
inutili). Ora, veniamo alla mia considerazione centrale. Parlare del passato
talvolta fa cadere nel nostalgico. Quando si vuol bollare uno scrittore che
ricorda gli anni trascorsi, lo si definisce “laudator temporis acti”. Ma, se
vogliamo, il presente è solo apparenza, perché – riflettendo con Orazio – “dum
loquimur, fugit invida aetas”, cioè: già nel parlare, o nel fare un atto
qualsiasi, l’ora invidiosa scivola nel passato prossimo, e poi nel passato
remoto. Il domani non esiste, per cui solo il tempo trascorso è vero ed
immutabile: noi siamo il nostro passato, altrimenti la storia (quella a cui
accenna Aldo Forbice e l’altre delle res gesta) non esisterebbe, né avrebbero
tanta importanza i reperti archeologici, i frammenti di ossa preistoriche, le
pochissime lettere dei papiri di Qumran, tanto per citare esempi estremi.
Il
passato siamo noi al presente: esso è la radice e l’albero di cui periodicamente
(nelle epoche dilatate per quanto riguarda la storia) le varie generazioni sono
i frutti. Ogni persona ha gli anni della propria cultura temporale nei millenni
a ritroso fino ai possibili frammenti del lavoro dei nostri antenati. L’età
cronologica non conta. L’individuo neppure, da solo, senza il legame con gli
altri simili avulso dalla matassa (nei vichiani corsi e ricorsi epocali) della
storia. L’umanità, nonostante le guerre, le diversità religiose, economiche,
climatiche, culturali etc., è un unicum. Come dire “un uomo solo è
l’intera umanità, e questa un unico uomo”. In breve, a me sembra questo il
sottile, delicato e pur sicuro messaggio che Daniela Quieti ci affida in questo
insieme di flash il cui denominatore comune è il fascino del passato visto come
monito nonostante gli errori dei popoli; ma dobbiamo spostare l’obiettivo sugli
insegnamenti preziosi delle grandi “lucciole nella notte della storia”.
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