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Corrado Govoni e il picchio rosso
Corrado Govoni (1884-1965), quando abitava in campagna,
nella nativa Tamara (paesino del ferrarese), praticava la caccia.
Un giorno si trovò a sparare a un picchio rosso,
capitatogli d’improvviso a tiro.
L’uccelletto, ferito ad un’ala, andò a cadere, stridendo,
sopra un mucchio di paglia; e fu allora che un uomo della fattoria lo finì
brutalmente con una pedata.
Govoni rimase così impressionato dall’accaduto, che da quel
giorno non ebbe più la voglia di andare a caccia.*
Successivamente scrisse la poesia intitolata appunto “Il
picchio rosso”, dove immagina che sia proprio l’uccello a rievocare ( “Vissi nel
sole …” ) il tempo in cui, con le sue ali color verde smeraldo e col suo “
berretto alla sbarazzina / come vivace brace”, volava nelle tiepide giornate di
primavera e saliva a perforare la vecchia corteccia di olmi e di querce,
battendovi col becco robusto ( i picchi- come spiega Louis Figuier, nell’opera
“Gli uccelli” – non intaccano mai gli alberi sani, ma soltanto quelli tarlati),
“per pappar grosse larve addormentate/ nella feccia del legno” …
Il volatile ricorda, infine, il momento in cui fu colpito
ad un’ala, ritenendo sia stata l’esplosione d’una ghianda: “Forse fu una ghianda
esplosa / dal sotto in su che mi colpì nell’ala” ; e soprattutto quello,
terribile, in cui “con tutto il peso della notte / un gigantesco tacco d’uomo”
gli fu addosso, schiacciandolo impietosamente.
*L’episodio si legge nella “Antologia popolare di poeti del
Novecento”, a cura di V. Masselli e G.A. Gibotto Vallecchi, 1973.
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