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Fabio Tombari

Fabio Tombari (1899-1989) nacque a Fano, la ridente cittadina che s’affaccia sull’Adriatico.

Fabio Tombari con la figlia.

In gioventù fu maestro elementare nei paesini del Montefeltro; passato alla scuola, lasciò successivamente l’insegnamento per dedicarsi all’attività letteraria.

Egli ebbe un buon successo con l’opera “Tutta Frusaglia” (1929), anche sulla scia del movimento di Strapaese (cui appartenevano, tra gli altri, Maccari e Longanesi), il quale propugnava un ritorno alle tradizioni campagnole, popolari, paesane.

E Tombari si dimostrò abile bozzettista nel ritrarre scene animate da genuini tipi di popolani.

Ma il Nostro cominciò a rivelare l’animo così sensibile verso la natura con il “Il libro degli animali”(1935), che ha per protagoniste “le serene creature che ci avvicinano a Dio”.

Nell’àmbito naturalistico, Tombari esplorò anche il regno vegetale con le sue meraviglie; seguì il volo degli uccelli; discese tra i segreti del mare.

Dalle scoperte che faceva, usciva rinfrancato, ricco di nuovo amor vitae.

Né era estraneo alla cordialità che anima le tavolate, che fanno onore ai sani cibi provenienti dalla campagna o dal mare, preparati secondo le ricche ricette nelle patriarcali cucine sature di odori.

Ed ecco l’atmosfera conviviale, ottimistica de “I ghiottoni”(1939).

Attento all’incanto delle stagioni, nel loro avvicendarsi, dipinse gli ariosi affreschi delle pagine de “I mesi”(1954).

Nell’opera “Il libro di Tonino”(1955), con l’esperienza acquisita tra i banchi di scuola, si propose di guidare i fanciulli, senza la pedanteria di vecchio stampo, all’esplorazione dell’ambiente, suscitando il concreto interesse, secondo i suggerimenti della – allora innovatrice – metodologia dell’attivismo pedagogico.

Ma Tombari affrontò anche i temi cruciali dell’esistenza nel libro dal titolo “L’incontro”(1960), nel quale aveva fatto confluire pagine della giovanile “Vita”(1930).

Intraprese poi un lungo itinerario teso ad accostarsi al mistero dell’Essere e a comprendere la condizione dell’uomo nell’universo.

La sua meditazione non ebbe certo il rigore della compagine speculativa, rimanendo egli sempre poeta nella sua indole, anche se scrisse in versi una sola, sebbene estesa composizione intitolata, appunto, “Essere” (pubblicata nel 1953 e nel 1968).

Tombari traeva motivi di riflessione dalla dottrina del filosofo e mistico Rudolf Steiner (1861-1925), convinto che questi, con le sue teorie, abbia ricongiunto l’uomo con la Natura, la quale sembrava restasse fuori, quasi fosse il fondale di un teatro.

Non uno scenario, quindi, la Natura, ma immenso organismo vivente, in cui ogni singolo individuo è stretto da vitale interdipendenza con gli altri, in totale armonia.

Appaiono significativi, a tal riguardo, questi versi della poesia,di cui abbiamo detto: “Perdersi in chiarità, in leggerezza | nella luce, nell’aria, dileguare, diffondersi | …sentirsi umili, puri, | nuovi in tutte le cose | fino a stupire di sé: | frantumi di specchio | in mille frantumi | e vedersi-miracolo-in tutti”.

Dalla coscienza della comunione con il tutto, nasce la religiosità dell’esistenza: “Ogni organismo è religioso. L’albero è religioso in quanto è congiunto con l’intero universo: stagioni, aria, acqua, pianeti; la vita è religiosa; se non è religiosa, s’ammala”.

Tombari si era ritirato, insieme con la moglie, a vivere gli anni della vecchiaia in campagna, in località Rio Salso, presso Pesaro, dove si spense novantenne.

Verso la società contemporanea era rimasto sempre scettico, poiché gli interessi materiali hanno soverchiato quelli ideali, producendo turbamenti nelle coscienze e arrecando guasti al nostro pianeta; guasti che potrebbero diventare irreparabili.

Nel libro “La fine del mondo:Ercole al bivio”(1986) troviamo, nella forma dialogica (consueta a Tombari), meditazioni sparse, che poi si concentrano nelle pagine finali, quasi che l’autore sentisse l’urgenza di fissare integro il suo messaggio.

Tombari, seguendo i suoi convincimenti, dopo aver ribadito che “la Natura è viva, tutto è vivente”, è giunto alla severa conclusione: “Chi dissacra quanto è bello e buono, corrompe e dissacra l’interiorità universale”.

Egli ha, quindi, elevato la problematica ecologista alla luce di una consapevolezza superiore.

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