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I poeti e gli uccelli della primavera

“Le rondini gridano l’ora” è il titolo d’una poesia, che fa parte del libro “Il piccolo Orfeo” di Angiolo Silvio Novaro (1868- 1938) : le rondini annunciano con i loro gioiosi garriti il ritorno della primavera. Vanno e vengono dai tetti, mentre la terra sta cambiando aspetto. Il poeta ligure, che ha rivelato, nella sua opera, un’anima delicata, sensibile, in particolare, verso il mondo dell’infanzia, qui esclama:

“ Dolce tempo, chiara grazia!”, mostrandosi fiducioso che anche l’uomo esca dal suo “gelo”, ringrazi Iddio e diventi più buono e gentile.

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Quando la primavera riluce, la campagna e il bosco si rianimano d’uccelli.

Corrado Govoni ( 1884- 1965 ), in una poesia dal titolo “ Stradario della primavera” (facente parte della raccolta “ Pellegrino d’amore” del 1941), traccia un itinerario geografico ideale, attraverso l’Italia, della bella stagione. Questa, ad esempio, “Sulla Romagna e sulla dolce Emilia/ lascia cader dall’iride tre gocce / di smeraldo, di solfo e oltremarino” : sono i colori rispettivamente del picchio verde, del rigogolo giallo e della gazza ghiandaia celestina.

Migratore, quando la primavera è ormai piena e sicura, ritorna anche il cuculo.

Lo stesso Govoni, in una delle sue “ Poesie scelte” (Ferrara, 1918), gli si rivolge con un “O cùculo, bel cùculo barbogio”: sciocco, quindi, ma detto con tono del tutto bonario, scherzoso.

Il poeta guarda l’uccello che vola basso sopra un fresco campo di canapa; lo sente ripetere il gaio ritornello, “il vecchio ritornello d’orologio”.

Govoni ha immaginato, ascoltando il cuculo, di scorgere la stessa primavera “pazzerella” apparire e nascondersi, là nel campo dove il frumento comincia a spigare … La birichina, come richiamando con un “cucù” , invita ad andarla a pigliare …

E tu corri - dice il poeta - credendo di poterla facilmente raggiungere; ma essa, che ti ha sùbito visto venire, se n’è già andata via … Proprio come il bel cuculo vaio, il quale, da un alto pioppo argenteo, come a canzonare, ripete il suo ritornello …

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Non in una pianura come quella Padana, che si intuisce, leggendo la poesia di Govoni ( nato e vissuto a lungo nella campagna ferrarese ), ma in un boschetto, Vincenzo Cardarelli (1887 – 1959), nato in terra etrusca, ha ascoltato il cuculo. In quel suo “ canto pieno d’aria, /che pare soffiato in un flauto …”

sembra di sentire la voce primaverile del bosco … E andar dietro al lieve richiamo, alla sua “ eco ingannevole”, è come essere attratti da una soave illusione, sino a raffigurarsi ninfe danzanti “ attorno ai tronchi ombrosi, / fra giochi di sole”.

Nelle notti di primavera si diffonde l’appassionato gorgheggio degli usignoli.

Elpidio Jenco (1893 – 1959), che nelle prime opere mostrò una venatura dannunziana, mista a motivi crepuscolari e pascoliani, in una poesia1 rivela sua disposizione d’affetto verso un usignolo, che ha il nido tra i folti rami d’un cipresso, dove rimane in silenzio per tutto il giorno.

Mai il poeta l’ha sentito emettere un sia pur breve verso; mai l’ha visto spiccare, dal fitto intrico in cui sta celato, un pur breve volo.

Egli perciò l’ha preso a simbolo di “amor di silenzio” .

Soltanto quando la luna appare, tale “poeta malinconico” fa sgorgare il suo canto modulato; soltanto allora, “come un raggio di luna il canto esprime” …

L’usignolo ha avuto sempre assidui uditori tra i poeti.

Adolfo De Bosis (1863 – 1924), che fu ammiratore ed amico di D’ Annunzio, e poeta, egli stesso, dallo stile raffinato, nella limpida pace d’una notte stellata, è rimasto ad ascoltare i “nembi di note” effusi dagli usignoli sulle languide rose, mentre “il mondo dorme ne l’ incantamento”.

Giuseppe Ungaretti (1888 – 1970) ha prestato orecchio ad un solo usignolo, ma dal canto così sonoro, ch’egli s’è chiesto che cosa avesse mai da dire alla pallida luna “con tutto il suo sgolarsi di cristallo.”

Il messinese Giovanni Alfredo Cesareo (1860 – 1937), poeta dai toni decadenti, è stato attratto, invece, dal misterioso assiolo, detto, di solito, chiù, a causa del suo caratteristico grido.

Grido che “di tratto in tratto lacera / il sonno della placida campagna” , fino a quando l’aurora non preannunzia il sorgere del sole.

Eppure il poeta ha ritenuto che l’assiolo, prima di ritirarsi nel “suo cieco carcere”, nel folto dei rami, pur ignorando la gioia della piena luce, ne senta il desiderio. Esso “la chiama fisso e strano, / col singhiozzo implacabile, / povero chiù, di chi singhiozza invano”.2

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Ma ritorniamo nel fresco mattino …

Già, come dice Giovanni Pascoli (1855 – 1912 ), in uno dei suoi poemetti latini di soggetto virgiliano e oraziano, l’allodola, con la voce tintinnante, ha dato la sveglia agli altri uccelli. Così, “ già lasciati i rozzi nidi, stridule / intorno al tetto volano le rondini “ , mentre i passeri, numerosi e chiassosi, ridanno vivacità alla vecchia casa ancora addormentata.

E seguiamo, insieme con Gabriele D’ Annunzio ( 1863 – 1938 ), quella rondinella che si mostra così àlacre nella ricerca di fango e di fuscelli, e così industre nel costruirsi il nido: essa “ appena aggiorna, / va e torna/ vigile all’opra / nidace, / né si posa né si tace / se non si copra / d’ombra la riviera / a sera” …3

(1) Nella raccolta “ Essenze “ Genova, 1933
(2)
“ Il chiù “ fa parte di “ Poesie “ Bologna, 1912
(3) Da “ Alcyone “ , 1903

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