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I poeti e le farfalle

Quale fascino ci proviene dalle farfalle, le quali, con i loro colori sfumati, sembra si affidino a un àlito di vento …

Potremmo dire con i versi del bolognese Riccardo Bacchelli (1891-1985) che “se la porta l’aria | codesta schiatta lieve”. 1

Quello delle farfalle è un vivo e silenzioso volare con le ali così tenui e trasparenti, che richiamano ciò che v’è di più immateriale: l’anima. Ed infatti, sempre Bacchelli, “quell’ali d’anima”, le dice con un’espressione sintetica e metaforica.

Se leggiamo la poesia “Settembre”, troviamo il giovane Attilio Bertolucci 2 in un prato, in una tranquilla giornata settembrina, con il cielo ancora sgombro e luminoso. Il poeta guarda le farfalle passare sull’erba e le assomiglia ai “pensieri d’amore” che, certamente sinceri dall’intimo, vede salire agli occhi di colei che lo accompagna.

Carlo Betocchi (nato a Torino nel 1899, ma vissuto a Firenze ) ha ricordato un pomeriggio d’inverno, in cui la sua immaginazione creò una straordinaria visione: quella dei suoi pensieri che si tramutavano in farfalle e ascendevano verso l’infinito.

Era piuttosto un elevarsi compiuto non soltanto con la fantasia, ma con tutto l’essere spirituale del poeta.

Quel pomeriggio è ricordato come dolce3, poiché la luce vi si spandeva serena e dava l’impressione d’essere immutabile, né d’alba, né di tramonto.

Betocchi aveva più volte osservato le modeste farfalle, bianche o gialle, che volano numerose negli orti suburbani, a primavera. Simili a quelle, i suoi pensieri salivano leggieri e instancabili verso “i giardini pieni di rose | che vivono di là, fuori del mondo”. Il poeta con gli occhi assorti seguiva sempre più in alto quelle forme eteree, fino a che non svanivano, perdendosi nell’immensità. E non soltanto i pensieri, ma tutte le cose intorno sembrava che diventassero farfalle rivolte verso l’infinito …

Anche l’anima del poeta, eccola innalzarsi in una valle, che era invasa da una tremolante luce ultraterrena e dal canto dell’angelo, che la conduceva verso il Signore …

Ali d’anima, pensieri d’amore, simbolo d’un volo che s’inciela: ecco le pure ispirazioni che sono venute ai poeti dalle farfalle!

° ° °

Anche Guido Gozzano, ammirandole così “fatte di grazia e di fragilità” nel loro aleggiare, ha ricevuto la sensazione le farfalle siano portate dal venticello di primavera.

Gozzano nacque a Torino nel 1883 e ivi morì nel 1916, prematuramente, perché consunto dalla tisi, i cui primi segni si erano manifestati in lui già nel 1904.

Egli dedicò l’ultimo periodo della sua vita alla stesura d’un poemetto in endecasillabi sciolti, proprio dal titolo “Le farfalle”: “La varia grazia delle varie specie / in versi canterò”.

Esso è però rimasto frammentario.

Gozzano, dopo aver pubblicato, a Milano, nel 1911, la sua opera maggiore “I Colloqui”, aveva scritto che sarebbe ritornato alla poesia “con altra voce”.

Egli voleva far rivivere dentro di sé, almeno in parte, l’amore che aveva nutrito da ragazzo verso le attrattive della natura e in particolare verso le farfalle ( “il superstite amore adolescente / per l’animato fiore senza stelo”). Voleva ridestare il russoiano richiamo alla natura, come riscoperta dell’interiorità della persona, della spontaneità del sentimento.

Riguardo al progresso scientifico e meccanico (magnificato da Marinetti nel suo tumultuoso “Manifesto del Futurismo” del 1909), gli sembrava fosse “meglio | ritrovarsi tra i fiori e le farfalle” … Per riacquistare “i mondi del sogno e l’anima”, potremmo aggiungere, ricordando dei versi di Arrigo Boito (1842-1918) …

Il poemetto ha carattere didascalico, secondo l’esemplare settecentesco di Lorenzo Mascheroni; spunti furono offerti a Gozzano anche dalle opere divulgative

di Maurice Maeterlinck (“La vie des abeilles” e “La vie des insectes”), dalle quali anzi traspose alcuni passi. La poesia delle “Farfalle”, comunque, non è da considerare come una semplice evasione, ma scaturita da un’interiore esigenza.

Gozzano descrive la metamorfosi dall’uovo al bruco, alla crisalide, sino all’insetto perfetto. Raggiunge momenti di originalità e di attualità, quando illustra le abitudini delle diverse specie, come quelle della cavolaia (pieris brassicae). Tale farfalla, come è noto, nasce e vive negli orti, ma il poeta la segue quando, dalla primavera sino al tardo autunno, essa è spesso, e stranamente, attirata dalle “case umane”, sino a spingersi nel cuore della città. E lì, per le vie lunghissime che si intersecano, formando un grigio labirinto di pietra, la pieride si perde.

In mezzo al “rombo turbinoso”, la gente va indaffarata e non s’accorge certo del delicato insetto che proviene dalle verdi ortaglie. Soltanto chi si è fermato a parlare con un amico, talvolta s’interrompe e, mostrandosi ben sorpreso, esclama:- Una farfalla!

Di rado una cavolaia riesce a ritrovare la via dei campi. Tra i tanti detriti della metropoli, che il netturbino spazza, all’alba, biancheggiano le fragili ali ormai inerti.

Nel poemetto gozzaniano, la farfalla appare come la “candida” messaggera della natura, in mezzo ad una società frenetica, che la ignora, poiché in essa non ha più spazio la genuina poesia della vita.

Come ha scritto Giacinto Spagnoletti: “Le farfalle” possono venir intese come un’accusa ben calibrata, tra ironia, entusiasmo e disincanto, a tutto quanto preclude alla poesia- intesa come bellezza, supremo fascino dell’esistenza- ogni ragion d’essere: cioè al mondo moderno.” 4

Note

1 Dalla raccolta “Amore di poesia”, 1930.

2 Nato a San Lazzaro, vicino Parma nel 1911; esordì con la raccolta “Sirio”, nel 1929.

3 Nella composizione intitolata, appunto, “Un dolce pomeriggio d’inverno”, in “Notizie di prosa e poesia”, Firenze, 1947.

4 Nella sua “Storia della letteratura italiana del Novecento”, Roma, 1994.

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