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I poeti e l‘inverno

Da “Natura e Poesia”
di Franco Orlandini
Gabrieli Editore, Roma 2005.

“Vides ut alta stet nive candidum /Soracte, nec iam sustineant onus /silvae laborantes …” canta Orazio (65 a. C. – 8 a. C.) nella raffinata ode nona del libro I delle “Odi”.

Nella piana del Tevere, a nord di Roma, si erge il monte Soratte, ch’è tutto imbiancato; i rami delle selve sono oppressi dal pesante manto di neve che li copre; i corsi d’acqua si sono solidificati.

E’ una giornata gelida, che spinge soltanto a cercare ristoro davanti al focolare. Ed infatti è lì che Orazio siede; gli è accanto Taliarco, un suo giovane amico. Il poeta lo invita ad alimentare il fuoco con nuova legna abbondante, in modo da poter sciogliere il freddo che irrigidisce le membra; lo invita anche a versare con generosità il vino invecchiato in un’anfora, ch’egli ha portato dal suo podere, donatogli da Mecenate nella montuosa Sabina.

Orazio, intanto, rivolge al giovane teneri rimproveri … La smetta di chiedersi che cosa potrà riservargli il domani; lasci fare agli dei, che tutto decidono e tutto possono. Egli è, ora, nel rigoglio dei suoi verdi anni, e ne goda le gioie!

Si sente che Orazio è ormai sfiorato dal pensiero degli anni che per lui avanzano; i suoi consigli sono frutto di maturata saggezza …

Il paesaggio invernale, che induce alla tristezza, sembra scomparire alle calde parole del poeta, il quale dà l’impressione di voler evocare i suoi begli anni, mentre vuol persuadere Taliarco a frequentare i luoghi di abituale ritrovo dei giovani, come le piazze, che permettono gl’incontri, il passeggio; il Campo Marzio, che offre anche giardini e boschetti. Da lì, nelle placide notti, provengono le dolci parole bisbigliate nei convegni d’amore. C’è la ragazza, che, nascostasi per gioco, all’apparire dell’amato che la cerca, non può più trattenere un fresco riso, e rivela così il suo nascondiglio.

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Tra i poeti del Novecento mi ha particolarmente interessato la figura dello spagnolo Antonio Machado (1875 – 1939), in particolare per la sua attenzione verso il paesaggio naturale, sino alla sua idealizzazione, come avviene, in particolare, nell’opera “Campi di Castiglia” (1912). Machado, infatti, come insegnante di lingua francese aveva ottenuto, nel 1907, la sede nella scuola media di Soria, cittadina sull’Alto Duero, in quella Vecchia Castiglia, che, per lui, come per gli altri poeti della cosiddetta Generazione del 1898, aveva un alto significato simbolico morale e nazionale.

“E’ la terra di Soria arida e fredda”, dice il poeta; in essa l’aspro inverno si protrae sino al mese d’aprile, quando ancora i viandanti si coprono collo e bocca con una sciarpa pesante, e i pastori vanno avvolti “nelle lunghe cappe” per proteggersi dal vento pungente, che soffia dai fianchi innevati dei monti.

Troviamo il poeta che alloggia in una locanda; siede presso il camino, dove un grosso ciocco brucia lentamente, fumigando, e una pentola borbotta. I campi attorno sono spazzati dalla tramontana, che turbina sulla neve; e neve continua a scendere sui sentieri e li ricopre come una fossa.

Presso il focolare sta rannicchiato anche un vecchio; di tanto in tanto trema e tossisce; e c’è sua moglie che fila un ciuffo di lana, mentre una bambina cuce- come osserva il poeta- “un orlo verde nel suo saio rosso”.

Ed è Machado a dire che i due anziani avevano un figlio mulattiere, il quale, attraversando di notte la sierra, fu sorpreso dalla tormenta; smarrì la strada e fu inghiottito dalla neve vorticosa.

Il suo posto è ormai vuoto attorno al focolare; il dolore per la perdita ha prodotto sulla fronte del vecchio – che ha un’espressione cupamente assorta – un’incisione scura e profonda, come quella che lascia un colpo di scure sopra un ceppo.

La vecchia scruta, di tanto in tanto, fuori dalla finestra, e sembra che ascolti avvicinarsi dei passi … Ma nessuno transita nella vicina strada bianca: rimane deserta, come sono deserti i campi che circondano la locanda.

La bambina, lei sì che sogna (e certamente anche il poeta sogna …) i prati verdi in cui potrà correre insieme con le compagne; sogna i giorni azzurri e dorati della primavera, quando spunteranno nei prati le bianche margherite.

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In quarta di copertina
Nota di Federico Gabrieli

“Nei confini definiti, chiari, di una creatività letteraria, ove si contraddistinguono caratteri di purezza e di antiche passioni del nostro spirito, ci imbattiamo, nelle squisite pagine di questo libro (“Natura e Poesia”), con una narrativa nuova, che con forza vuole rimuovere le finitudini emotive del lettore e sublimarlo nella ricerca del “vero”, della “bellezza” e dell’”amore”.

Diventa, così, esso, un contributo efficace alla spinta che ognuno di noi si accinge a dare al raggiungimento dello stesso proposito. Opera, infatti, non comune quella di mettere a disposizione del patrimonio spirituale della società, idee e pensieri, con i quali si vuole lanciare un “messaggio” all’evoluzione della nostra storia.

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