
Georges Duhamel nacque a Parigi nel 1884, in una numerosa famiglia; i suoi
genitori, erboristi, di modeste condizioni economiche, cambiarono spesso
abitazione. Il nostro, tuttavia, riuscì a frequentare il liceo e a diplomarsi
nel 1906; proseguì poi gli studi nella facoltà di medicina. Resta singolare
l’esperienza che egli fece dal 1906 al 1908, insieme con René Arcos, Jules
Vildrac, N. H. Barzun, A. Mercereau e il pittore A. Geise, poiché di comune
accordo decisero di ritirarsi in campagna a vivere in comunità, senza altra
regola che l’amicizia. Essi scelsero Créteil, nella Valle della Marna, dove
trovarono una casa lungo il fiume; casa, che divenne la loro Abbaye, abbazia.
Svolgevano qualche attività manuale (avevano anche una stamperia) che
permettesse loro di soddisfare le esigenze materiali. A Créteil si davano anche
rappresentazioni teatrali e nel luglio del 1907 il nostro conobbe l’attrice
Blanche Albane, che diverrà sua sposa. Duhamel scriverà più tardi della feconda
esperienza giovanile da lui vissuta; e ricorderà anche le passeggiate ch’egli
faceva nelle strade campestri o nei boschi, insieme con la fidanzata; tali
camminate avevano come meta una solitaria bicocca ammobiliata. La vita all’aria
aperta contribuì a formare nel nostro un duraturo sentimento di adesione verso
la natura e a fargli apprezzare il silenzio, che favorisce la meditazione e dal
quale può scaturire la poesia. Ed infatti Duhamel scrisse diverse poesie che
formeranno la raccolta “Des Légendes, des Batailles” del 1907.
Quei giovani
ispiravano la loro vita di gruppo all’unanimismo, ideato da Jules Romains, il
quale sosteneva che l’essere umano, superando ogni egoistico individualismo,
realizza sé stesso, aderendo pienamente allo spirito che lega, con un sentimento
unanime, una piccola, o estesa, comunità sociale. Ma nel 1808 il gruppo si
sciolse per mancanza di denaro e per qualche discordia interna. Duhamel conseguì
il dottorato in medicina nel 1909; nello stesso anno si sposò con Blanche. Il
nostro, dal 1910 al 1914, si trovò occupato presso un’industria farmaceutica di
Parigi; ciò gli permetteva di essere economicamente indipendente e di dedicarsi
alla letteratura, che era stata da sempre la sua passione nascosta; nel 1907
aveva debuttato come critico nelle pagine del “Mercure de France”.
Ma ecco lo
scoppio della Prima Guerra Mondiale e Duhamel, dal 1914 al ’18, come chirurgo si
prodigherà sulla linea del fronte, a Champagne e nelle battaglie di Verdun e
della Somme. Fu per lui un’esperienza traumatizzante, il trovarsi a contatto di
tante atroci sofferenze umane. Francois Mauriac rivelò che il suo amico Duhamel,
ferito nel profondo dell’anima, non poté più guarire di quello che aveva visto
in quei tremendi quattro anni. Il nostro ne lasciò una narrazione commossa nel
libro “Vie de martyrs”( 1917), formato da brevi racconti, ascoltati da semplici
fanti durante le pause tra un combattimento e l’altro; scrisse anche “Civilisation”,
pubblicato nel 1918, con uno pseudonimo, poiché Duhamel non voleva essere
accusato di avvalersi della guerra per fare della letteratura. Ma la sua è
rimasta quale esempio d’una letteratura di “testimonianza”, scaturita dalla
cruda realtà, vista e vissuta dall’autore; e lo stesso Duhamel disse che
l’immaginazione, la fantasia non avevano niente a che fare con quei tempi. Il
nostro aveva voluto far conoscere tanta disumanità, tante devastazioni, perché
fossero di monito per il futuro … Ma egli dovette dolorosamente constatare come,
alla fine del conflitto, il disinteresse, troppo presto, riguardò quei tragici
eventi, nonché la loro deformazione da parte di alcuni, sino alla quasi amnesia,
senza che ne fosse tratto alcun insegnamento …
Duhamel iniziò a scrivere i
romanzi, che costituiscono il ciclo “Vie et aventures de Salavin”, che si
protrarrà dal 1920 al ‘32; diede avvio a “La cronique de Pasquier”,
“romanzo-fiume” che sarà pubblicato sul “Mercure de France”, dal 1933; sono
opere nelle quali s’intrecciano diagnosi sociale e indagine psicologica dei
personaggi. Intanto, dal 1930, il nostro compì svariati viaggi in Francia e
all’estero, impegnandosi, in numerose conferenze, a diffondere la letteratura
francese, ma anche a sostenere la concezione di una civiltà moderna basata su
valori etici, compiutamente umani, e non caratterizzata soltanto dal progresso
scientifico, tecnologico e dall’incremento della produzione e del consumo di
beni materiali. Nel 1935 Duhamel divenne direttore del “Mercure de France”e lo
sarà sino al ’37; nel ‘36 venne accolto nella Academie Françpaise
e nel ‘37 nella Academie de Medicine. Ma incombevano minacciose le nubi funeste
della Seconda Guerra Mondiale, con l’invasione della Francia da parte delle
truppe tedesche.
Durante l’occupazione nazista, a Duhamel fu interdetta la
pubblicazione di nuove opere e furono vietate quelle già da lui pubblicate. Il
nostro, tuttavia, non si sottrasse alle difficoltà, non si nascose. Nel ’42
accettò la carica di segretario dell’Accademia, mantenendo un atteggiamento di
fermezza nei confronti degli occupanti e dei rappresentanti del governo
collaborazionista di Pétain. Tale carica egli la mantenne sino alla fine del
conflitto, ricevendo l’apprezzamento del gen. De Gaulle per la sua risoluta
condotta. Nel secondo dopoguerra, Duhamel riprese i suoi viaggi e le sue
conferenze. Egli fu un autore infaticabile; la sua bibliografia annovera un
centinaio di opere, tra romanzi, racconti, memorie, saggi, opere teatrali,
sillogi di poesia … Dal 1960 la sua salute andò declinando ed egli si spense nel
1966, a Valdmondois, nel dipartimento della Val d’Oise, dove era già solito
trascorrere la stagione estiva sin dal 1919 e dove era poi vissuto per lunghi
periodi dell’anno, con la sua sposa, che organizzava la rappresentazione delle
opere di Shakespeare in una casa con parco, acquistata sin dal 1925.
Tra le sillogi di poesia va ricordata quella dal titolo “Elégies”,
pubblicata nel 1920, presso il “Mercure de France”. Essa contiene una “ballata”,
che si riferisce a un toccante episodio della Grande Guerra; il poeta lo
riferisce con un linguaggio semplice, popolare; e la ballata va intesa, appunto,
come canto narrativo popolare in versi. Il chirurgo Duhamel si era ricordato di
quel giovane soldato rimasto ferito gravemente al petto, rammentandone nome e
cognome, anche perché fu assistito, per una ventina di giorni,
ininterrottamente, dalla coraggiosa madre, accorsa, per stargli vicino, da un
lontano paese di provincia; abbiamo così la “Ballade de Florentin Prunier”.
“Il a résisté pendant vingt longs jours, / Et sa mère était à coté de lui. /
Il a résisté, Florentin Prunier, / Car sa mère ne veut pas qu’il meure. / Dès qu’elle
a connu qu’il était blessé / Elle est venue, du fond de la vieille province. /
Elle a traversé le pays tonnant / Où l’immense armée grouille dans la boue. /
Son visage est dur, sous la coiffe raide; / Elle n’a peur de rien, ni de
personne. / Elle emporte un panier, avec douze pommes, / Et du beurre frais dans
un petit pot …”
“Ha resistito per venti lunghi giorni, / E sua madre stava a lui daccanto. /
Ha resistito, Florentin Prunier, / Perché sua madre non vuole che muoia. / Non
appena ha saputo ch’era stato ferito, / Lei è venuta dall’interno della vecchia
provincia. / Ha traversato il paese rimbombante / Dove l’immenso esercito
brulica nel fango. / Risoluto è il suo aspetto sotto la cuffia tesa; / E niente
teme od alcuno. / Con sé ha portato un canestro, con dodici mele, / E burro
fresco dentro un vasetto”… Ed ecco che questa madre esemplare rimane seduta, per
intere giornate, accanto al lettuccio, in cui Florentin, a poco a poco, si sta
spegnendo. Arriva, al mattino, quando accendono il fuoco e rimane sino all’ora
in cui suo figlio delira. Le dicono, allora, di uscire, perché devono eseguire
la medicazione. Lei rimarrebbe, se bisognasse restare; si mostrerebbe donna
abbastanza forte da guardare la piaga che squarcia il petto di suo figlio; sente
le grida di lui, mentre sta fuori, con le scarpe nell’acqua … Florentin,
intanto, ogni giorno che passa, va peggiorando; non prende più cibo; il burro
s’è ingiallito dentro il vasetto. La donna fissa con insistenza il viso del
figlio, sempre più smunto e madido di sudore, per la difficoltà che egli fa a
respirare; guarda, ma non piange mai … Egli dice: “Ecco la tosse che mi toglie
le forze”, ma lei risponde: “Tu sai che ci sono io, qui”. Ed ancora: “Mi pare di
star per morire”. E lei, decisa, ripete: “No! Io non voglio, figlio mio!”. La
ballata riprende i due versi iniziali; la narrazione si conclude col tono
semplice, immediato, e perciò umanamente toccante, con cui s’è svolta. “Il a
résisté pendant vingt longs jours, / Et sa mère était à coté de lui … / Or, un
matin, comme elle était bien lasse / De ses vingt nuits passées on ne sait où, /
Elle a laissé aller un peu sa tete, / Elle a dormi un tout petit moment; / Et
Florentin Prunier est mort bien vite /Et sans bruit, pour ne pas la réveiller.”
“Ha resistito per venti lunghi giorni / e sua madre stava a lui daccanto … /
Ora, una mattina, siccome lei era esausta / Per quelle venti notti passate non
si sa dove, / Per un poco il capo ha abbandonato, / S’è assopita per un solo
istante; / E Florentin Prunier è spirato in gran fretta / E in silenzio, per non
svegliarla.”
NoteNella frase “J’ai idée che je vas passer” si nota la
sgrammaticatura di je vas per je vais; altra sgrammaticatura in “Non! Je veux
pas, mon garzon!” con la soppressione del ne. A conferma dell’intonazione
popolare della ballata.