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La travagliata esistenza di Edgar Allan Poe

Cadeva nel 2009 il bicentenario della nascita dello scrittore statunitense E. A.Poe (1809-49). La sua esistenza fu una delle più travagliate: scossa dal genio, contraddistinta da fervidi slanci e da altrettante ricadute, ebbe legate a sé malattia e miseria. Un vero “romanzo tra sublime e grottesco”, come scrisse E. Cecchi. Figlio di un’attrice di teatro ambulante, abbandonata presto dal marito, il piccolo Edgar sin dalla nascita (avvenuta a Boston) conobbe i disagi del girovagare e dell’alloggio in infime locande. Dovettero impressionarlo con intensità le drammatiche circostanze della morte della madre, consunta dall’etisìa. L’orfano fu accolto dallo zio John Allan, un facoltoso commerciante. Nella sua casa a Richmond, in Virginia, Edgar ascoltava con avida curiosità le storie (per lo più ambientate in cimiteri visitati da spettri) uscite dalla fanciullesca e superstiziosa fantasia dei negri occupati nelle piantagioni. Il ragazzo palesava un’eccezionale inclinazione per lo studio. Gli Allan lo fecero iscrivere nell’università, da poco aperta in Virginia. Ma Edgar contrasse la passione per il gioco d’azzardo e si riempì di debiti; da qui i frequenti litigi con lo zio, che alla fine lo lasciò senza denari e senza appoggio.

Poe cominciò ad assuefarsi all'alcool, a quella che divenne una vera dipsomania. Egli nel bere cercava piuttosto una carica alla sicurezza, il sostegno ad un penoso complesso di inferiorità derivatogli dalla traumatica prima infanzia. Poe avrà sempre bisogno di superare in vario modo tale complesso. Per questo gli piaceva far sfoggio dell'acume della sua intelligenza, proponendo e risolvendo astrusi enigmi, rebus, indovinelli e complicati casi polizieschi.

Ostentava un sapere vasto ed eterogeneo, incorrendo talora in errori, per cui veniva tacciato di millanteria. A lungo caldeggiò il sogno di diventare l’arbitro della letteratura americana, di avere una rivista tutta sua: “The Stylus”. “Fondare (come egli scriveva) la sola, vera aristocrazia – quella dell’intelletto – ottenerne la supremazia, guidarla, controllarla…”.

Sulle orme dell’avventuroso e romantico Byron (Poe aveva pubblicato a Boston, nel 1827, un primo volume di poesie di ispirazione byroniana) avrebbe voluto circondare la sua vita di un alone di leggenda. La sua effettiva avventura fu l'arruolamento nell'esercito, ma per breve tempo, avendo mostrato insofferenza per qualsiasi disciplina.

Poe venne accolto in casa di una zia, che viveva, a Baltimora, del modesto lavoro di cucitrice e aveva con sé la figlia Virginia. In una soffitta il Nostro veniva componendo poesie piene di visioni fantastiche e di significati allegorici; scriveva racconti di avventure e di storie inverosimili. Nel 1835 la zia Clemm, impressionata dallo stato di depressione del nipote, nella speranza di fargli riprendere fiducia nella vita, acconsentì al suo matrimonio con la giovanissima Virginia. Ma quando la poverina si ammalò anche lei di tisi, la malinconia depressiva di Poe si aggravò.

Vagabondava a lungo e si abbandonava ad eccessi nel bere.

Succedevano giorni di pesante torpore e di abbattimento, seguiti da altri in cui il genio, ridestatosi, lo stimolava a scrivere giorno e notte, lasciandolo per di più insoddisfatto della sua opera. Le vicende umane e letterarie nella biografia di Poe appaiono connesse, soggette ad alterna fortuna. Pubblica, a Filadelfia, nel 1840, i “Racconti del grottesco e dell’arabesco”; si afferma come critico e come audace polemista, facendo aumentare la tiratura dei giornali cui collabora, come il “Gentleman’s Magazine” e il “Graham’s Magazine”; raggiunge la notorietà con la poesia “Il corvo” (apparsa nel 1845 sulla rivista “The Evening Mirror”), una composizione dominata dal motivo romantico dell’amore trasformato in lutto… Ma Poe ricadeva presto nelle crisi di alcolismo, interrompeva le collaborazioni, ripiombava fatalmente nella miseria.

Virginia peggiorava sempre più nel suo male e si spense nel 1847, in un ambiente di completa indigenza. Anche la fine di Poe era prossima: il 3 ottobre 1849, a Baltimora, fu trovato in una taverna, in uno stato miserevole, in preda a delirium tremens. Morirà in ospedale il giorno 7.

Come è noto, i racconti furono tradotti e divulgati in Europa da Baudelaire: “Storie straordinarie” e “Nuove storie straordinarie” (1856 e 57). Con un gruppo di racconti (ad esempio “The mystery of Marie Roget” o “The murders in the rue Morgue”) incentrati soprattutto sulle capacità deduttive messe in atto dall’investigatore, Poe pose le basi di quello che diverrà un genere dall’eccezionale fortuna: il romanzo giallo.

Alcuni critici hanno voluto interpretare l’opera di Poe, fermandosi alla sua personalità alterata dallo squilibrio del sistema nervoso. Egli soffrì certamente di incubi e di allucinazioni… La sua narrativa, tuttavia, si svolge sul filo di una lucida razionalità…

Poe fu anche acuto teorico. Alcuni criteri estetici (esposti ne “Il principio poetico” e nella “Filosofia della composizione”), quali l’affermazione dell’autonomia dell’arte, la predilezione per l’ignoto, l’indefinito, l’asserzione della inscindibilità tra poesia e musicalità, esercitarono il loro notevole influsso sul Decadentismo.

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