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Negli anniClua Edizioni, Ancona 2007
E’ emblematico dell’intera raccolta Negli anni, il titolo che presenta la prima parte: “Verso il mare”. Non c’è stata aperta navigazione; ma, rimanendo sulla riva, soltanto il protendersi verso la vastità dell’essere; l’aspirazione a conquistarvi (ripeto appropriati versi di G. Camerana) “il vello d’oro della strofa lieta, | l’idea profonda e pazza, il sogno immenso” … Sono vissuto in tempi nei quali tali moti dell’animo si sono presto trattenuti; lo slancio s’è ripiegato esausto su sé stesso. Non ho veduto venire (per continuare a metaforizzare…) le vele spiegate di intrepidi argonauti; non mi sono potuto unire a dei compagni impegnati in una “avventura” diretta alle prode dello Spirito… Mi è apparso indubbio che “dissecca, ormai, in noi, l’epoca nostra, | ogni utopia e il gioco della mente | che in sé stesso ricresce ed in sé crea | le lontananze mitiche che attraggono”. Non è stato più il tempo di aderire a forti idealità; anzi è subentrata la diffidenza verso il valore stesso dell’ideale. Mi è rimasto il porto, con le sue interminabili soste. Le acque spente non hanno più specchiato (ricordo, ad esempio, che era avvenuto così per il decadente G. Rodenbach) le fiancate dorate dei “vaisseaux hasardeux”. Il porto mi ha talvolta distratto con il volo degli uccelli, con l’increspamento argenteo della scia primaverile delle vele; ma più spesso l’ho visto fasciato dalla bruma, dentro la quale uomini e cose appaiono come vano susseguirsi di ombre. Si è riempito di mistero nello sciabordare crepuscolare e notturno in angoli verdecupi. Mistero accompagnato dalla coscienza dell’impossibilità di penetrarlo, di ottenere risposta ai pressanti quesiti. Il senso del mistero, spogliatosi d’ogni afflato mistico, s’è proiettato sulla poesia decadentistica, in maniera sconsolata ed opaca. Ho intrapreso, tuttavia, una giovanile, anche se discontinua, “avventura”, con disposizione classica e romantica, nella natura delle colline, alla ricerca di immedesimazione in un universo concepito soprattutto come il manifestarsi di bellezza unificativa mediante la sua armonia. Ho così raggiunto momenti di poesia-derivata da esatti modelli del neoclassicismo e del parnassianesimo-appaganti nell’esercizio formale, e anche nella funzione catartica. Ma l’unità dell’essere in sé stesso, e con la natura, fragilmente acquisita, ha dovuto cedere alle insidie del logorante fluire dei giorni pesanti di separatezze, di esilio, e quindi di solitudine; materiati di quella pena, di quell’oscuro soffrire, che già altri poeti hanno definito “senza nome”, inesplicabile, ma erodente. Tale pena non s’è trasformata in
parole elette, non s’è sciolta in canto rivolto verso l’alto a cercarvi
conforto; s’è infiltrata dentro una frammentarietà desolata, soltanto qua e là
rischiarita dagli sprazzi di fioca luce di minute contentezze. Ho visto allontanarsi le plaghe arrise dalla “armonica interezza”; il colloquio supremo s’è interrotto ad ogni frase; è rimasta lontana “la sorgente | che dell’essere infranto ricomponga | la totale figura” … Figura che “si riconfonde pallida, manchevole, | dei giorni al susseguirsi: | in pienezza di rado si palesa”. E di misteriosità ho ritenuto avvolti gli eventi storici, il cui succedersi ha causato, agli uomini, al di fuori d’ogni visibile finalismo, indicibili patimenti, protrattisi nei secoli, e in particolare nel ventesimo. Il sogno d’un rinnovamento, rinascimento finale, che pure è via via balenato nella mente di filosofi e di mistici, spunta, e di nuovo impallidisce, e dispare, sull’orizzonte ambiguo delle epoche.
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