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Negli anni

Clua Edizioni, Ancona 2007

Alcune note sulla mia poesia

Prima parte
Verso il mare

Seconda parte
Solitudini

Terza parte
Sulle colline

Quarta parte
Negli anni

Il grido

Tra ruderi di anni echeggia il grido
desolato di chi ideali ha visto
sfuggirgli a ogni svolta; ed ha sentito
uomini e cose ostili sul cammino
verso le bianche aurore dello spirito.

La lucente visione gli si è fatta
lontana come un lume
in vesperale densità d’autunno.

Un'anemica traccia

Si fascia di silenzio
quella che a me veniva,
di fantasia sollecita corrente.

Tra i cumuli scompare di residui
dello sciupìo dei giorni,
tra il grigio groppo delle negazioni,
la sua anemica traccia.

Ore perdute

Ore sfuggite in rivoli meschini,
nelle contrade dell’indifferenza;
pensieri appesi simili a brandelli
afflosciati e dalle tinte esangui,
per un sussulto e un respiro fugaci.

Smarrimento

Il mite arcobaleno più sbiadisce.

Infradiciano vele nel ristagno.

Avversa la barriera del reale,
gli azzurri dello spirito a vietare,
si fa più alta; l’ombre si radunano;
sono incrinate cuspidi solive.

Lamento giovanile

Ogni mio dì s’inarca,
a sera, su un margine abissale,
in silenziosa frana;
più non mi appartiene,
non è del mio passato.

Non la nostalgica eco
di ore ridondanti;
del grido che provenga
dalle battaglie cui votammo il sangue.

Si tramuta in torpore
che ogni affetto fa vano.

Viandante

Ora più incerto cammina il viandante,
con la stanchezza che gli stringe i passi,
dentro i vapori, a sera; attraversando
un luogo che si va colmando d’ombre,
il mantellaccio si ravvolge al petto.

Quale mendìco antico, impolverato,
davanti ad una soglia invalicabile
posa semidormiente; nel suo sogno,
come su un velo arabescato scorrono
frammentate e sbiadite visioni
di quell’essenza che di là si cela.

Già lontani

Dentro gli occhi, passando, ci rimane
la visione di sponde ove sarebbe
dolce un indugio; forme ci rimangono
che furono stupende all’apparire.

Forse illusorie… Già siamo lontani,
già divisi dai veli della nebbia.

Dietro a un muro

Le soste dietro a un muro ad ascoltare,
ad un sussurro attento, ad un baleno…

Solamente il trascorrere del vento
coglievo e il luccichìo di qualche vetro
tagliente sulla cresta insormontabile.

Ciascuno solo

Mi conduce tra gli alberi il cammino.

Mi unisco a loro; ma stasera sono,
come ciascuno è lungo il filare,
chiuso nei rami, lamentoso e solo.

Transito

O presto alla fumana di colline,
crepuscolo affiochito in mezzo ai rami
abbrividenti… Ecco un alito; cade
del rosso velo delle foglie un lembo
dalle crepe dei muri del paese,
che si fanno più vecchi e derelitti.

S’è dispersa in brusìo ogni parola
dentro la lontananza della morte;
e quali cave sembianze riaffiorano
sullo specchio fumoso del crepuscolo.

Il velame

Il velame cadrà nel santuario
oltremondano, o Morte?

Qui, davanti al mistero
senza echi, s’arresta
ogni nostra domanda
di verità supreme.

L'inane corsa

Respinto dal mistero il lungo grido,
è un nebuloso crocevia lo sbocco
del flusso che ci incalza di apparenze,
soltanto stanchi dell’inane corsa.

Mattino d'inverno

Come acqua di fonte,
irrigidito animo,
dopo gelide tenebre.

Gelo

E’ ricoperto il borro
d’attorti rovi imbiancati di brina.

Più del fuoco, è il gelo,
similitudine d’inferno,
di separazione.

Sera d'inverno

Presto l’umida sera si congiunge
agli alberi del viale da cui pendono
le abbrunate insegne dell’inverno.

Sulle lastre lavate dalla pioggia,
nervatura di rami si disegna
sotto le fredde lune dei lampioni.

Si cancellano i passi; ad ogni soffio
tremano i rami scarni del pensiero.

Rifugio

Tra i casi della vita freddi e ostili
un nido non trovò dove posarsi:
è ritornato lo stormo dei sogni,
tornato al cuore, ormai frusto rifugio.

Faville

Fuscelli d’illusioni sulla fiamma
che ci rese vermigli il viso e il cuore,
per la pienezza enorme di un’ora.

Poi stanchi occhi; il frangersi
del vivo eloquio in sillabe sfuggenti,
a quel vento che sperse, insistendo
sulla cenere, l’ultime faville…

Trasale l'ansia

Trasale d’ansia l’insicuro giorno.

La difesa più debole diviene
della mente, del cuore:
dispersione vi penetra
che ripete i suoi agguati
alla soglia dei sensi.

E noi, la resa, in noi stessi divide;
il germe primitivo
guasta, ci diminuisce.

Distacco

Oltre i cancelli, esauste corolle.

Oscuro fluttua l’affanno silvestre;
parole usate sfuggono
come tanti fuscelli.

I passi ci scolora per le strade,
l’insonnia; ma la voglia ch’affrettava,
fattasi imbelle, arretra dalla soglia.

Un poco ci guardiamo:
come polvere densa sopra il viso,
coi tuoi capelli, sulle ciglia basse,
ecco scende il distacco.

Roccia

A volte i giorni diventano roccia;
neppure il seme d’un pallido fiore
conduce il vento, che venga a posarsi
dentro una fenditura ancora fertile.

La scarna compagna

Anche questo s’offusca giorno eguale.

Povere cose rotola su selci,
quando insiste gennaio, mulinando.
Importuno viandante, ad ogni uscio
e ai vetri batte con assalto assiduo;
insinua nelle stanze il soffio gelido.

Per chi sta chino a meditare al lume,
più s’attarda ogni ora col suo peso.
O la scarna compagna solitudine
al fianco gli si pone nelle strade.

Un rado soliloquio e vuoti passi
lascia tra i chiusi portoni, tra ombre
d’affrettate comparse che scantonano.

Morti

Or di notte si schianta solitaria
la sortita del giovane, che l’animo
sottile in breve spazio,
ha sferzato, spavaldo,
con fiammate di àlcol;
la fuga artificiale che promette
al volo iridescenze smisurate,
altri carcera dentro un inglorioso
e lento spegnimento
nella penombra silente d’un parco
nell’umido albeggiare.

La casa abbandonata

Il solido silenzio della casa.

Dentro una gonfia notte, la trafisse
una folgore; irruppe tra le vuote
pareti, ansando il vento, come un ladro
che rovisti impietoso le memorie.

E un giorno che le nuvole stringevano
con catene di ferro gli orizzonti,
giunse un randagio curvo sotto il peso
d’un lungo andare; in un inquieto telo
si ravvolse di sonno; su quel corpo
amaro di vecchiezza, presto il Tempo
fissò le fonde immobili pupille.

Dilavata la porta dalle piogge,
e riarsa, più non ha colore. Vanno
dalle sue fenditure, entro la coltre
delle sepolte annate, spille cupree,
se raddensa il tramonto il suo rossore.

Si attorcono fusti, tutt’intorno,
con macchie d’ocra, con grani di bacche;
sull’orlo d’una crepa ancora indugia,
ubriacatasi d’uva, una lucertola.

Ombre

Medita ancor più scura, sopra il colle,
la solitaria accolta di cipressi.

Il vento scende a flettere ogni stelo;
e le dense figure se ne vanno,
dopo la pausa fatua, delle nubi
sullo scenario che attristisce, quando
ad assembrarsi escono le ombre.

Gli uccelli della memoria

Quando le spighe del passato giacciono
ormai sgranate, tra le macchie esangui
di rosolacci e cìani riversi,
il folto volo spargono
tra le stoppie, gli uccelli… Sino a sera
ricercano, non paghi, finché queruli
in fondo a oscure crepe si rifugiano.

Lontano il Tempo guarda i suoi granai.

Il presente

Palpiti brevi avanti
a un provvisorio schermo,
poco dura il riflesso delle azioni.

L’esigua nostra storia (o il lungo corso)
tornano nel presente della mente
con imperfetti squarci,
e incrinati più spesso da rimpianti.

S’oscura per ciascuno;
per la storia degli uomini,
s’oscurerà lo schermo…

Integro, allora, apparirà disteso
degli eventi il tessuto
sopra un presente immobile e perfetto
o sfilacciato penderà disperso
nella vacua caligine del nulla ?

Inutile cammino

Quanto cammino inutile, consunto
sul lastrico deserto, risonante
tra muri, dove i passi ho ripetuto
ansiosi, presi dal circuito usato.
Orme labili al vento e alla pioggia
od a fatui riflessi sovrapposte.

Un ripassare ai margini del vuoto.

Il solitario

Rùtila l’occhio dei latranti cani
dietro la pace dei chiusi cancelli;
ha sobbalzi il notturno solitario.
Le vivide finestre tra le fronde,
sospese trasparire,
per un attimo fissa: nuovamente
il vagante cammina.

Contrasto

Attorno alla fontana (nella coppa
scroscia acqua rossastra)
il gioco di fanciulli
più gagliardo s’esalta nel tramonto;
si fanno intanto esili nell’ombra
i gesti degli anziani;
pressoché taciturni
il giardino abbandonano,
al cui amico rezzo
hanno atteso la sera.

Lacrime

Le tue innocenti lacrime di bimbo,
come le gocce lievissime, eteree
dell’ìride che, un giorno, all’apparire,
guardasti a lungo: avevi le pupille
così vive d’incanto…

Ti rigano le guance, gocce trèmule,
ma sono spente d’ogni iridescenza.

Riattendono che s’apra il torvo cielo;
che possano riflettere
il sole del conforto.

Il vasto volo

A volo, sulle ciglia polverose
e sull’arsione d’agostane labbra,
da lontananze e vertici,
la vasta si ripiega ala di pioggia
eguale nel suo suono.

Aperte più nereggiano le piaghe
sull’inerme tessuto delle alture,
morso già dalle fiamme.

Grondano stille, lamiere ritorte,
oltre l’asfalto, tragiche, in disparte,
relitti d’un riflusso indifferente.

Rimargina la spiaggia, nel silenzio,
il fitto peso d’orme; la maretta,
conchiglie e asterie forse sulla rena
appresta per le ultime scoperte
d’occhi grandi di bimbi.

Da recinti e da fronde,
serrato lungamente nella terra,
aspro sfugge l’effluvio;
si alza dai balconi,
dalle gabbie lo strepito d’uccelli.

Periferia

Tra gl’irti e ancora esanimi volumi
e tra le cave occhiaie dei palazzi,
nel sobborgo che ha limiti inquieti,
un soffio con l’odore delle erbe
da un superstite prato ancora viene
attraverso i recinti dei cantieri.

Sopra le gru, sui vertici e le antenne
sosta, a sera, spargendo sfumature
di carminio purissimo, una nube;
tinge finestre da cui qualche vecchio
volge triste lo sguardo; le ringhiere
con bambini ed uccelli prigionieri.

Una chiazza s’annera al capolinea,
ad ogni arrivo; rapidi saluti
si disperdono in mezzo alla foschia;
scompaiono figure nei portoni.

Alto balza il linguaggio delle insegne.

Un rivo di fanali sull’asfalto
infittisce inesausto; dirada.

Città

Sinistramente luccicanti accresce
l’inflessibile legge dell’usura,
di carcasse e lamiere i cimiteri
nell’infermo suburbio.

Laggiù, sopra i diuturni
ammassi di rifiuti,
uccelli fatti immondi, il volo allargano
già biancheggiante su più arioso lido.

Dentro nella città, dove la corsa,
quando s’arresta per un poco, freme,
e attossica di fumi,
incroci e fronde stinte,
gli aerei volti mostrano
butterati, le statue:
dell’antica saggezza
le bocche si deformano;
sono erose le vesti.

continua

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