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I poeti e gli
animali
Umberto Saba e la capra solitaria
L'anno 2007 ci ha ricordato il 50° anniversario della morte di
Umberto Saba, avvenuta il 25 agosto 1957.
Era nato a
Trieste nel 1883, da madre ebrea, che era stata abbandonata dal marito,
cristiano, prima che il bambino nascesse. Umberto assumerà, poi, il cognome
di Saba, in omaggio alla madre [Il cognome del padre era
Poli; "saba" significa "pane" in ebraico.]. Nel primo dopoguerra apri a Trieste una
libreria antiquaria. Uscite le leggi razziali, si rifugiò a Parigi e poi a Roma e a
Firenze, presso amici. Nel secondo dopoguerra, tornò a Trieste; visse anche a
Milano e a Roma, pur sempre afflitto dalla nevrosi, tra depressioni e brevi
riprese. Si spense in una clinica, a Gorizia.
Saba aveva iniziato presto a pubblicare le sue poesie, via via confluite nel
Canzoniere, che ebbe più edizioni, a partire dal 1921. Egli si era
rifatto alla radizione italiana, confessando: «Amai trite parole che nessuno |
osava...». Successivamente nella poesia sabiana si venne a formare un impasto di
linguaggio aulico e di quello derivato dalla quotidianità, quando il poeta si
propose «d'essere come tutti | gli uomini di tutti | giorni». Del gruppo di poesie "Casa e campagna" (1909-10) è
significativa quella dal titolo "La capra" [Nel
Canzoniere del 1921.].
La capra osservata da Saba si trovava, sola, in un prato. Era
stata legata con una corda ad un palo e poteva, quindi, muoversi soltanto dentro
un cerchio ristretto. Aveva già brucato tutta l'erba dattorno e ne era ormai
sazia. Poi era scesa la pioggia e l'animale era tutto bagnato. Belava, ma
inutilmente: non c'era chi l'ascoltasse, chi venisse a scioglierla. I suoi
belati si facevano sempre piú lamentosi... Il poeta, che si trovava anche lui in
una condizione di solitudine e di amarezza, dice di essersi avvicinato alla
capra e di aver, dapprima, preso per scherzo quell'uguale, ripetuto lamento. Ma
poi capi come esso non fosse diverso dal suo; e si mise a parlare alla capra dal
muso semitico (anzi Saba dice "viso", come riferito a una persona)... La natura del dolore è simile per tutti, siano uomini o animali; ha origine sin dal principio del
mondo e si manifesta invariabilmente nella stessa maniera: «Il dolore è eterno,
| ha una voce e non varia». Ecco la sconsolata riflessione di Saba, che ha
sentito acutamente l'identità di vita e di dolore.
Il poeta ha, nondimeno, cercato conforto e letizia nelle
«cose leggere e vaganti» della natura; nei grandi occhi celesti della sua
bambina; nei «sereni animali | che avvicinano a Dio» e, in particolare, negli
uccelli; nei "cantucci" pittoreschi della sua Trieste; nel guardare i ragazzini
giocare a pallone...
In tal modo la parola è diventata, sia per lo stesso autore
sia per i lettori, consolatrice.
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